Sandro Pertini
Stella (Savona), 25 settembre 1896 — Roma, 24 febbraio 1990
Sandro Pertini nasce a Stella (Savona) il 25 settembre 1896. Si laurea in giurisprudenza e, successivamente, in scienze politiche e sociali. Partecipa alla prima guerra mondiale, combattendo come tenente dei mitraglieri. Intraprende la professione forense, ma a partire dal 1918, anno della sua iscrizione al Partito Socialista Italiano, vota tutta la propria esistenza alla milizia politica. Perseguitato per il suo impegno contro il regime fascista, nel 1925 è condannato a otto mesi di carcere. Il 4 dicembre 1926, in conseguenza delle leggi speciali emanate dal regime, è condannato a cinque anni di confino. Sottrattosi alla cattura si rifugia a Milano presso Carlo Rosselli e, in seguito, in Francia, prima a Parigi e poi a Nizza, dove chiede e ottiene asilo politico. Continua la sua attività antifascista subendo anche in Francia due processi a causa della sua attività politica. Dopo essere rientrato clandestinamente in Italia nel 1929, viene denunciato da un delatore, arrestato e condannato dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato a undici anni di reclusione. Dopo averne scontati sette, è assegnato per altri otto anni al confino. Rifiuta di richiedere la grazia a Mussolini, anche quando la domanda è firmata dalla madre. Nel 1943, alla caduta del regime fascista, torna libero. Partecipa, tra l'8 e il 10 settembre, alla battaglia di Porta San Paolo nel tentativo di difendere Roma dall'occupazione tedesca.
Contribuisce poi a ricostruire il vecchio Partito Socialista fondando insieme a Pietro Nenni il Partito Socialista italiano di Unità Proletaria (PSIUP). Nello stesso anno è catturato dalle SS, rinchiuso nel carcere romano di Regina Coeli e condannato a morte; la sentenza non ha luogo. L'anno successivo riesce ad evadere insieme a Giuseppe Saragat e raggiunge Milano, dove dirige la lotta partigiana quale componente della Giunta militare del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) in rappresentanza del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP).
Conclusa l'esperienza della Resistenza, si dedica alla vita politica e al giornalismo. Nel 1945 è eletto segretario del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP). Nel 1946 è eletto deputato all'Assemblea Costituente. Dal 1945 al 1946 e dal 1950 al 1952 è direttore dell'"Avanti!". Dal 1947 è direttore del quotidiano genovese "Il Lavoro" di Genova. Non aspira a incarichi ministeriali, ma interpreta attivamente la vita parlamentare divenendo Vice Presidente della Camera e, successivamente, Presidente, per due legislature: dal 5 giugno 1968 al 4 luglio 1976.
È eletto Presidente della Repubblica l'8 luglio 1978 (al sedicesimo scrutinio con 832 voti su 995): presta giuramento il giorno successivo. Ha ottantadue anni.
L'elezione del "Presidente galantuomo" appare da subito un importante segno di cambiamento per il Paese, grazie al carisma e alla fiducia che esprime la sua figura di eroico combattente antifascista e padre fondatore della Repubblica, in un Paese ancora scosso dalla vicenda del sequestro Moro. Nel periodo della sua permanenza al Colle contribuisce a fare della figura del Presidente della Repubblica il simbolo dell'unità del popolo italiano, l'interprete dei valori di libertà e democrazia.
La sua statura morale concorre al riavvicinamento dei cittadini alle istituzioni, in un momento difficile come quello degli anni di piombo. Per un certo periodo Pertini diventa, infatti, "il Presidente dei funerali di Stato": da quello di Guido Rossa, operaio sindacalista, assassinato a Genova dalle Brigate Rosse, fino ai funerale seguito alla strage di Bologna (2 agosto 1980). Introduce il rito del "bacio alla bandiera" tricolore, divenuto usuale anche per i suoi successori.
Sono anni duri - il terrorismo ancora forte, le sciagure naturali, la crisi economica e sociale, ma anche anni di eventi costruttivi e positivi per l'immagine del Paese. In tutte le occasioni, gioiose o tragiche che siano, vi è la certezza della presenza del Presidente Sandro Pertini. Parla con una franchezza inusuale, attento a dare voce e vigore ai sentimenti più profondi del Paese e alle grandi emozioni collettive: dal dolore e la collera dopo ii drammatico terremoto che nel 1980 sconvolse l'Irpinia alla gioia prorompente appunto per la vittoria ai Mondiali di calcio del 1982. Tutto ciò lo ha reso il Presidente più popolare.
Il suo modo di intervenire direttamente nella vita politica del Paese, con la sua passione e attraverso una forte carica di amore per le istituzioni repubblicane, rappresenta una novità per il ruolo di Presidente della Repubblica. I suoi vigorosi richiami ai valori della Costituzione, della Resistenza, della giustizia e della libertà costituiscono per la nostra democrazia un insostituibile punto di riferimento in quegli anni di terrorismo e stragi.
Inizia con lui quello che in seguito diviene un archetipo della funzione di stimolo dei Quirinale nei confronti della politica, il cosiddetto "potere di esternazione". Dal Quirinale intreccia un fitto dialogo con il Paese, soprattutto con i giovani e i giovanissimi, nei quali ha una profonda fiducia. Riceve a Palazzo, quasi tutti i giorni, scolaresche, fino a 600 ragazzi, con i quali ha un rapporto diretto e schietto. "Mi chiamo Pertini, fatemi domande impertinenti" questa di solito la frase iniziale.
Non risiede nel Palazzo, ma continua ad abitare nel suo piccolo attico a Fontana di Trevi, con la moglie Carla Voltolina.
Nomina Senatori a vita: Leo Valiani (1980), Eduardo De Filippo (1981), Camilla Ravera (1982), Carlo Bo (1984), Norberto Bobbio (1984).
Dà le dimissioni il 29 giugno 1985. Diviene Senatore a vita quale ex Presidente della Repubblica (ai sensi dell'art. 59 della Costituzione).
Muore a Roma il 24 febbraio 1990.
discorso di insediamento
9 luglio 1978 — testoLe parole del Presidente Sergio Mattarella
Le Immagini e la Storia
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