"...Certo l'idea di Roma si imponeva: "l'idea in cui - sono parole di Chabod - la vita contingente povera e meschina magari della città e dei suoi abitanti spariva e rimaneva solo il significato morale e religioso, politico e culturale della millenaria tradizione"...oggi più che mai sentiamo il valore immenso di Roma capitale come l'hanno sentito i nostri avi: ispiratrice di alti sentimenti politici, sociali, morali; come l'ha sentito la nostra generazione nelle lotte della Resistenza quando umiliata, ferita, oppressa dall'invasore straniero, l'Urbe ci offriva l'immagine tragica della conseguenza del rifiuto della libertà, della conseguenza della dittatura, quasi a spronarci per la riconquista di una Patria libera..."
(ASPR, Intervento del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat in occasione del "Centenario dell'Unione di Roma all'Italia", Roma, Palazzo di Montecitorio, 20 settembre 1970)
Roma Capitale. La Città tra Modernità ed Eredità della Città storica. A proposito del "Rapporto sul Centro Archeologico monumentale di Roma (CArMe)" di Walter Tocci, Giugno 2023
"Sulla formazione e trasformazione di Roma in Città Capitale (1870 - 2024)".
Ciclo di Seminari organizzati dall'Archivio storico della Presidenza della Repubblica
Onorevoli Presidenti della Camera dei Deputati, del Senato della Repubblica, del Consiglio dei Ministri, Onorevole Senatore ex Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, Eminentissimo Signor Cardinale Vicario, Signor Presidente e Signori Giudici della Corte Costituzionale, Onorevoli Membri del Governo, Onorevoli Membri del Parlamento, Signori Rappresentanti delle Regioni, Signori Sindaci di Roma, Torino e Firenze, Signori Sindaci dei Comuni decorati di medaglia d'oro, Autorità tutte qui convenute, Italiani, in uno scritto di Francesco Ruffini del 20 settembre 1920 si legge: "La ricorrenza cinquantenaria della presa di Roma non ha oggi soltanto la artificiosa fuggevole suggestione della cifra tonda; la ratifica del trattato di San Germano, che in questi giorni appunto il Senato italiano voterà ponendo fine anche nei rapporti con l'Austria, alla guerra da noi vinta, conferisce a questa ricorrenza un suo rilievo reale ed essenziale, anzi addirittura fatidico. Questo mezzo secolo di storia della cosiddetta questione romana ci appare oramai concluso fra due grandi parentesi sanguigne: la guerra franco-prussiana del 1870 e la presente guerra dei mondi; le quali entrambe esercitarono sopra di essa una influenza decisiva e certamente di gran lunga superiore a quella di qualsivoglia altro avvenimento contemporaneo della storia civile e religiosa del mondo.
Difatti alla caduta del potere temporale dei Pontefici romani contribuì, molto più che non l'episodio di Porta Pia, il tracollo a Sedan di quel Secondo Impero, il quale si era fatto di quel potere il garante e il custode".
Il Ruffini continua ricordando come nel 1888 il Cardinale Rampolla, quando pareva inevitabile una nostra rottura con la Francia, faceva notare al Bismarck che una guerra in cui fosse coinvolta l'Italia avrebbe riaperto la questione romana. Orbene il Ruffini vedeva chiusa per sempre la questione romana proprio dalla conclusione vittoriosa della prima guerra mondiale che tra l'altro aveva messo a tacere coloro che in Germania si erano agitati per riaprirla.
Conclude il Ruffini: "L'eventualità che la sconfitta ci riservava è tale da agghiacciare l'animo di ogni buon italiano". Le preoccupazioni del Ruffini erano fondate? È pur vero che nella allocuzione del 5 dicembre 1915 il Sommo Pontefice lamentava l'aggravamento che la guerra aveva arrecato alla sua condizione giuridica (erano partiti da Roma i rappresentanti dell'Austria, della Baviera e della Prussia presso la Santa Sede) ma non è men vero - come riconosce lo stesso Ruffini - che "una grande e veramente santa parola è stata pronunciata dal Pontificato il 28 giugno 1915 per bocca del Cardinale Segretario di Stato. Egli affermò che pensiero del Santo Padre è di aspettare la sistemazione conveniente della sua situazione non dalle armi straniere ma dal trionfo di quei sentimenti di giustizia che augura si diffondano sempre più nel popolo italiano".
Il linguaggio del Ruffini testimonia in ogni caso dell'inquietudine che sul problema dei rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa aveva dominato sino ad allora gli spiriti più eletti e sottolinea, in virtù del contrasto, l'enorme differenza che esiste su questo come su molti altri problemi fondamentali tra la fine della prima guerra mondiale e la fine della seconda.
Oggi a cento anni dall'unione di Roma all'Italia e dopo una seconda guerra mondiale ancor più terribile della prima i rapporti tra la Chiesa e lo Stato italiano sono tali per cui si può affermare che mai come in questi ultimi venticinque anni la sovranità del popolo italiano nell'ambito delle sue istituzioni repubblicane e democratiche ha avuto modo di manifestarsi più compiutamente in perfetta armonia con la sovranità della Chiesa cattolica nell'ordine che le è proprio.
A ben considerare le cose, la felice conclusione del lungo travaglio che ha caratterizzato i rapporti tra Stato e Chiesa in Italia e che ha tutti i caratteri di ciò che è acquisito in modo permanente alle nostre coscienze, alle nostre leggi - prima tra tutte la Costituzione della Repubblica e alla nostra storia, non solo è il risultato della enorme trasformazione del mondo avvenuta nel corso di questo secolo, ma è implicita nello spirito di sincero rispetto della religione cattolica che ha caratterizzato tanto la lunga preparazione diplomatica per arrivare al 20 settembre 1870 da parte del Governo italiano, quanto gli atti successivi a quel memorabile evento.
Nei discorsi, nei carteggi diplomatici, nella stampa ufficiosa, pur essendo convinti, secondo la dizione di Cavour, che "senza Roma Capitale l'Italia non si può costituire" gli statisti non si ispirarono mai a programmi affrettati. Misero a partito anche le iniziative volontaristiche che, pur quando dovevano essere fronteggiate e represse, acceleravano però il processo psicologico di un evento che andava sempre più divenendo fatale. Ma anche gli uomini politici che personalmente nutrivano sentimenti di recisa avversione alla Chiesa non si lasciarono portare ad atti ispirati a odio o a inutile vilipendio. Il tentativo di giungere pacificamente a Roma derivava non soltanto da una preoccupazione internazionale o dal timore di una reazione interna della parte cattolicamente più impegnata, ma proprio dalla convinzione assoluta - condivisa dall'enorme maggioranza del Paese - della bontà della causa e quindi del suo quasi fatale trionfo; dalla convinzione assoluta che l'unione di Roma all'Italia, indispensabile all'Italia, era egualmente indispensabile alla Chiesa.
Per quest'ultimo aspetto del problema si trattava, come dice Federico Chabod nella sua Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 riassumendo il pensiero degli uomini di governo fedeli alla formula cavouriana, di "far trionfare anche in Italia sede del Papato il principio che il problema religioso va lasciato alla libera coscienza dei cittadini".
Le ragioni che hanno portato l'Italia a Roma, con particolare riferimento al problema delle relazioni dello Stato con la Chiesa ed alla questione romana, sono svolte esaurientemente in tre memorabili discorsi del Cavour - del 25 e del 27 marzo 1861 innanzi alla Camera e del 9 aprile successivo innanzi al Senato - che costituiscono il momento culminante della sua opera relativamente alla questione romana, il suo testamento politico continua a leggere
(ASPR, Intervento del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat in occasione del "Centenario dell'Unione di Roma all'Italia", Roma, Palazzo di Montecitorio, 20 settembre 1970)
L'Incontro di studio, centrato sulla discussione del "Rapporto sul Centro Archeologico monumentale di Roma (CArMe)" di Walter Tocci, Consulente del Sindaco di Roma per il Centro Archeologico Monumentale di Roma, è stato organizzato dall'Archivio Storico della Presidenza della Repubblica nel quadro delle iniziative seminariali che l'Archivio storico, a partire dal 2020, dedica al tema della "Formazione e Trasformazione di Roma in Città Capitale (1870 - 2024)".
Negli ultimi anni, infatti, l'Archivio storico della Presidenza della Repubblica ha organizzato numerose iniziative dedicate a "Roma", studiata nella prospettiva dello "spazio" che oggi identifichiamo con il concetto di "Roma capitale", quale risulta dall'innesto delle funzioni costituzionali dello Stato italiano sulla città e sugli edifici che la connotano - e dalla ricaduta delle loro evoluzioni sulle relazioni funzionali degli spazi urbani -, ma dettata anche dalle questioni aperte dalla consapevolezza della eredità, materiale e ideale, del suo rilevante passato nella modernità.
Il Seminario del 13 marzo segue idealmente altre manifestazioni dedicate a "Roma Capitale", tra le quali si ricordano:
27 giugno 2019 A proposito del volume di Marina Formica "Roma, Romae. Una capitale in Età moderna" (Bari-Roma, Editori Laterza, 2019)
13 e 14 dicembre 2021 Identità, Tutela e Conservazione del Patrimonio Archeologico e Architettonico: da Roma Capitale al G20. Le carte degli Archivi e la Storia
16 dicembre 2022 Roma. Dal Primo al Secondo Dopoguerra (1918-1948). Ricerche e Prospettive tematiche
Si chiede di confermare la presenza entro martedì 11 marzo 2024 inviando i propri dati (nome, cognome, luogo e data di nascita) all'indirizzo [email protected]
La manifestazione sarà anche trasmessa in diretta streaming tramite il canale YouTube dell'Archivio storico della Presidenza della Repubblica