Il Portale storico della Presidenza della Repubblica

Pubblicato il 2 giugno 2018, il Portale storico della Presidenza della Repubblica rende progressivamente disponibile il patrimonio conservato dall'Archivio storico.
Archivi, documenti, fotografie, dati, percorsi tematici e risorse digitali trasmettono la memoria dei Capi dello Stato dell'Italia repubblicana; testimoniano in modo straordinariamente capillare le attività, gli interventi e i discorsi dei Presidenti della Repubblica nello svolgimento delle funzioni che la Costituzione assegna loro; testimoniano le attività dell'Amministrazione e dei suoi protagonisti, che operano a supporto della figura presidenziale; rappresentano il Paese che ne costituisce lo sfondo; raccontano le vicende del Palazzo del Quirinale, ieri palazzo dei papi e dei re, oggi sede della massima carica dello Stato repubblicano.

I numeri del Portale: 70.780 eventi, tra udienze, impegni pubblici e privati dei Presidenti; 1.729 visite in Italia e 570 viaggi all'estero; 16.269 pagine di diario digitalizzate; 440.016 immagini; 25.111 immagini che documentano la storia d'Italia dalla Monarchia alla Repubblica; 10.445 audiovisivi; 16.918 complessi archivistici; 6.865 discorsi e interventi; 5.325 atti firmati; 55.759 Provvedimenti di grazia; 542 comunicati della Presidenza del Consiglio dei Ministri dal 1945 al 1950;11.835 comunicati delle presidenze Ciampi e Napolitano; 168.952 comunicati di cui 28.360 indicizzati dalle presidenze Gronchi a Scalfaro; oltre 500 volumi in Materiali e pubblicazioni per un totale di 50.000 pagine in formato digitale; 75 soggetti produttori e 516 strutture organizzative; 131 biografie di consiglieri e consulenti; 1.665.718 triple caricate sull'Endpoint (aggiornamento del 19 aprile 2024)

 

Alcide De Gasperi

Pieve Tesino (Trento), 03 aprile 1881 — Borgo Valsugana (Trento), 19 agosto 1954

Nato il 3 aprile del 1881 a Pieve Tesino nel Trentino asburgico, da Amedeo e Maria Morandini, primo di quattro figli, all'interno dell'Impero Austro-Ungarico trascorrerà più della metà della propria vita, ivi formandosi sul piano spirituale e culturale prima, e facendo le prime esperienze politiche dopo, nel Consiglio comunale di Trento e al Parlamento asburgico, immune dal trauma del dissidio tra Chiesa cattolica e Stato italiano e dalle conseguenze del non expedit, temi che accomunano invece gli esponenti del mondo cattolico italiano impegnati, in quegli anni, sul piano sociale e politico.

Sviluppa piuttosto, da rappresentante di una minoranza etnica all'interno di un grande impero multinazionale, grande sensibilità per i temi delle autonomie e per le questioni internazionali. Tali "anomalie" ne faranno un personaggio unico nel panorama politico italiano quando, alla caduta del fascismo, saprà chiamare il cattolicesimo italiano ad assumere la responsabilità di guidare il Paese e ad accettare, pienamente, i postulati di una democrazia "cristiana" nei valori di ispirazione ma "laica" negli strumenti di conduzione.

L'eccesso di "continuismo" e di indulgenza verso il personale già utilizzato dal fascismo, addebitati talora a De Gasperi nella sua opera ricostruttiva, vanno correlati al suo antifascismo che "non riguarda la tessera, ma l'animus, i metodi della vita pubblica", come ebbe a scrivere a Sergio Paronetto nell'ottobre 1943. Definendo il fascismo "l'esempio più essenziale dell'antilibertà demagogica", scrive: "l'antifascismo, cui dobbiamo ancora tenere, non è quello impastato di rappresaglie, di bandi e di esecuzioni, ma è il criterio che ci serve a identificare, misurare e giudicare gli stessi antifascisti, la mentalità antilibertaria della dittatura borghese-repubblicana, militare-monarchica o proletario-comunista, la passione rivoluzionaria dei comitati di salute pubblica, l'ambizione giacobina di improvvisare riforme, la suggestione del nuovo, dell'ardito a qualunque costo".

Altra peculiarità, che lo distingue dai suoi successori nella più alta carica dello Stato, è la circostanza che questi ultimi assumono la carica al culmine di una lunga carriera, nelle istituzioni in qualche caso, in politica nella stragrande maggioranza. Capo del governo da sei mesi e leader indiscusso della Democrazia Cristiana fin dalla nascita del partito in clandestinità, nel momento in cui diventa Capo dello Stato De Gasperi non è certo uno sconosciuto. Tuttavia saranno gli anni che seguono, in cui manterrà la guida del governo ininterrottamente fino al 1953, che lo consacreranno come il più grande statista dell'Italia contemporanea, capace di far riemergere il Paese dalle conseguenze di una guerra dagli esiti catastrofici in termini istituzionali, politici, economici, tanto da far definire questa fase della storia italiana come "età di De Gasperi".

La formazione cattolica ricevuta nella prima infanzia si consolida con la frequenza del Ginnasio nel Collegio vescovile di Trento, dove nel frattempo si è trasferita la famiglia. Prosegue quindi gli studi all'Imperial Regio Ginnasio Superiore superando brillantemente gli esami di Maturità nell'estate del 1900. In questo ultimo scorcio del secolo va crescendo, nel clero e nel laicato cattolico, la sensibilità per i problemi sociali ed economici, a misura che si diffondono, soprattutto per merito dei giovani preti, i principi leoniani della Rerum Novarum (1891). Anche in Trentino è un fiorire di organizzazioni sociali, economiche e politiche cattoliche, accompagnate da organi di stampa dalla varia periodicità ma dalla ferma tenacia nel contrastare la propaganda socialista e liberal-massonica. Don Celestino Endrici, poi nel 1904 trentottenne vescovo di Trento, e don Guido de Gentili, apostolo della buona stampa cattolica, sono le figure più rappresentative del "risveglio cattolico" trentino.

De Gasperi ne viene presto coinvolto. E' ancora un giovane liceale quando partecipa al Congresso internazionale antimassonico di Trento (1896) e ai convegni cattolici di Cles (1898) e Pergine (1899).

Si iscrive quindi nel 1900 alla facoltà di Filologia dell'Università di Vienna dove, a causa delle precarie condizioni economiche della famiglia, il padre è già da qualche anno in pensione, si mantiene agli studi usufruendo di una borsa di studio e dando ripetizioni. Sacrifici che gli consentono, tuttavia, di entrare in contatto con le associazioni studentesche viennesi (aderisce all'Unione Accademica Cattolica Italiana) e con gli esponenti del cattolicesimo sociale austriaco, nella Vienna del borgomastro cristiano-sociale Karl Lueger. Chiamato a collaborare con il quotidiano "Reichpost", bandiera delle battaglie del cattolicesimo politico e sociale austriaco, viene anche incaricato di diffondere il verbo leoniano tra i lavoratori italiani emigrati nell'Impero.

Le qualità di De Gasperi emergono presto, è preso a benvolere dal suo docente di teologia Ernst Commer, che eserciterà su di lui grande influenza e che nel marzo 1902 lo invita ad accompagnarlo a Roma, dove sono ricevuti da Leone XIII, dal card. Rampolla e da esponenti di spicco della gerarchia ecclesiastica. Gli incontri nella capitale, tra gli altri anche con Murri e Fogazzaro, danno ulteriore impulso alla sua attività di propagandista degli ideali democatico-cristiani che non trascura di diffondere anche nel suo Trentino, tanto da essere eletto Presidente dell'Associazione Universitaria Cattolica Trentina (AUCT) nel V congresso annuale dell'agosto 1902, associazione della quale, nel congresso dell'anno precedente (settembre 1901), era stato eletto segretario. Con riferimento specifico alle questioni universitarie, l'impegno di De Gasperi è finalizzato, sul solco dei suoi predecessori, alla istituzione di una università italiana. Il citato V congresso dell'AUCT si conclude proprio con l'approvazione di un odg che chiede al Governo la fondazione di una completa università italiana a Trieste ma le istanze degli studenti di lingua italiana vengono solo parzialmente accolte dal Governo. Viene istituita una facoltà giuridica italiana ma nei pressi di Innsbruck, temendo il Governo che se in territorio di lingua italiana, essa potesse divenire pericoloso focolaio di irredentismo. I gravi incidenti che scoppiano tra gli studenti di lingua italiana e tedesca, in occasione dell'inaugurazione (novembre 1904), portano alla soppressione della facoltà e De Gasperi in carcere, assieme a numerosi altri studenti italiani ivi convenuti, rilasciato poi dopo diciannove giorni.

Conseguita la laurea in filologia (luglio 1905), con una tesi su "I pitocchi fortunati di Carlo Gozzi e le loro elaborazioni tedesche", De Gasperi rientra a Trento dove, nominato vescovo Endrici nel marzo 1904, il presule di salda formazione leoniana aveva dato nuovo impulso alle organizzazioni cattoliche con l'obiettivo di far partecipare i cattolici alla vita politica. Senza i vincoli del non expedit, i cattolici trentini prendono a combattere le proprie battaglie con un partito e un programma propri, con la costituzione, nell'ottobre 1904, della Unione Politica Popolare del Trentino (UPPT), detta anche Partito Popolare Trentino. De Gasperi è chiamato a far parte della Direzione, dove comincia a sperimentare la forma "partito" quindici anni prima rispetto a quanto avverrà in Italia nel 1919.

Dal settembre 1905 succede a don Gentili nella direzione de "La voce cattolica" (dall'anno successivo ribattezzata "Il Trentino", a significarne il passaggio da strumento della curia a quotidiano politico) e dalle colonne del giornale sostiene la campagna per il suffragio universale e per la più ampia diffusione e organizzazione del partito sul territorio. La riforma elettorale dell'Impero, che istituisce il suffragio universale maschile e uguale, viene approvata nel gennaio 1907, ampliando peraltro il numero di seggi della Abgeordnetenhaus (la Camera dei Deputati) da 425 a 516.

Si aprono dunque grandi prospettive per l'UPPT che infatti, con la forza delle organizzazioni cattoliche, l'attivismo del clero e la campagna elettorale condotta da De Gasperi dalle colonne del giornale e nelle piazze, nelle elezioni del 1907 ottiene il 70% dei voti e sette dei nove seggi disponibili. Straordinari risultati confermati l'anno successivo alle elezioni per la Dieta del Tirolo.

In questi anni, De Gasperi è impegnato anche come propagandista e sindacalista tra gli operai e i contadini, e frequenti sono le polemiche con i socialisti cui la concorrenza delle organizzazioni sindacali cattoliche sottrae campo d'azione. Nel marzo 1909 ha anche modo di sperimentare, in una manifestazione a Merano, le minacce fisiche di Mussolini, alfiere di una violenta campagna anticlericale condotta da neo segretario della Camera del Lavoro di Trento e presto espulso dai territori dell'Impero.

Le prime esperienze di De Gasperi in un'assemblea politica si svolgono nel Consiglio comunale di Trento, in minoranza nella roccaforte dei liberali trentini, dove è eletto in un'elezione suppletiva nel 1909 assieme ad altri due popolari. Vi sostiene una politica "popolare", per il suffragio universale, per l'adozione del sistema proporzionale nelle Comunali e per una politica di bilancio che preveda un contenimento della fiscalità indiretta. L'attività del piccolo gruppo consiliare cattolico, di cui De Gasperi farà parte fino al 1914, consentirà, nelle successive elezioni comunali generali del 1911, di ottenere otto consiglieri.

De Gasperi è ormai giunto alla soglia dei trent'anni, età che gli consente di acquistare l'elettorato passivo quando, il 30 marzo del 1911, il Parlamento di Vienna viene sciolto con due anni di anticipo rispetto alla scadenza naturale. Il primo Parlamento eletto a suffragio universale nel 1907 era stato un susseguirsi di ministeri brevissimi, paralizzato dall'ostruzionismo reciproco dei due principali gruppi etnici, tedeschi e cechi, e spesso teatro di scontri e risse furibondi.

Candidato nel collegio Fiemme-Fassa-Primiero-Civezzano, il 13 giugno 1911 viene eletto con il 75% dei voti, risultando il più giovane tra i deputati al nuovo Parlamento, dopo aver guidato il partito nella campagna elettorale con risultati che confermano i 7 seggi del 1907. Entra così in quello che, anche per gli anni in cui vi eserciterà il mandato in rappresentanza degli interessi degli italiani, risulterà più che un Parlamento, un'autentica arena da gladiatori. Ai lavori in commissione, è Componente del Comitato per l'industria e di quello per la stampa, affianca interventi in Aula a sostegno della richiesta di una università italiana, questione ripresa sin dalle prime sessioni del nuovo Parlamento, e contro i tentativi di germanizzazione del Trentino ad opera del Tiroler Volksbund. Denuncia il disinteresse del Governo per le questioni economiche, sociali, culturali poste dagli italiani del Trentino, e i provvedimenti talvolta vessatori di Vienna motivati dall'irredentismo cui la visione degasperiana appare estranea, finalizzata piuttosto al raggiungimento di obiettivi "possibili" attraverso gli strumenti che il sistema istituzionale dell'Impero consente. La partecipazione alle Delegazioni, sorta di commissione bi-parlamentare dove si riuniscono alcuni rappresentanti dei due parlamenti della Duplice Monarchia, consente peraltro a De Gasperi di entrare in contatto anche con i transleitani, l'altra "testa" dell'aquila, e di avere uno sguardo d'insieme delle rivendicazioni delle minoranze dell'Impero tutto, mentre continua le battaglie per il suo Trentino anche nella Dieta tirolese, dove è eletto nel maggio 1914 con il 78% dei voti.

La condotta degasperiana, di difesa dell'italianità senza far venir meno la lealtà nei confronti del sistema istituzionale, di conciliazione tra le istanze di nazionalità diverse finalizzata al mantenimento di una coesistenza pacifica tra esse, entra tuttavia in crisi allo scoppio della guerra nel 1914.

Consapevole delle conseguenze che un conflitto tra Italia e Impero avrebbe potuto avere sugli italiani del Trentino, De Gasperi si impegna per evitarlo, sostiene la neutralità, si reca più volte a Roma dove incontra Benedetto XV, l'ambasciatore di Vienna e il ministro degli Esteri Sonnino, nella speranza di una cessione del Trentino in cambio della neutralità italiana. Le conseguenze della dichiarazione di guerra italiana all'Austria, temute da De Gasperi, si manifestano subito con la deportazione e l'internamento degli italiani. Molti sacerdoti e lo stesso vescovo Endrici subiscono analogo trattamento.

Le misure non risparmiano neppure i deputati, cui vengono revocate le immunità parlamentari. Enrico Conci, ad esempio, che pure dal 1912 era uno dei sette VicePresidenti della Camera dei deputati di Vienna, viene confinato con tutta la famiglia a Linz e, dichiarato politicamente sospetto, è obbligato a presentarsi tutti i giorni alla gendarmeria. Per evitare misure restrittive, De Gasperi, il cui formale decreto di confino era già stato predisposto, è costretto a trasferirsi a Vienna, dove organizza iniziative a sostegno dei deportati, molti dei quali costretti a vivere in "città baracche" in drammatiche condizioni.

Al Parlamento, chiuso allo scoppio della guerra e riaperto nel 1917, denuncia le condizioni dei deportati e le limitazioni della libertà personale. Nel suo intervento, luglio 1917, rappresenta la questione sotto il profilo umanitario e riesce ad ottenere misure legislative per aiuti agli internati, invitando, allo stesso tempo, i sudditi italiani dell'Impero a non aggravarne le condizioni con manifestazioni nazionaliste. Gli sviluppi del conflitto portano tuttavia De Gasperi ad esprimersi ormai apertamente in Parlamento, nell'ottobre 1918, per l'applicazione, alla fine del conflitto, del principio di nazionalità agli italiani del Trentino. Segue la dichiarazione del 25 ottobre del Fascio Nazionale italiano, gruppo parlamentare che riunisce popolari e liberali italiani, letta alla Camera dal presidente del gruppo Conci, gruppo di cui De Gasperi è segretario. Vi si afferma che i territori italiani dell'Impero dovevano considerarsi riuniti all'Italia. Si conclude così la battaglia degasperiana per le autonomie del Trentino all'interno dell'Impero e se ne apre un'altra, meno fortunata nel breve periodo, all'interno del Regno d'Italia.

Singolare destino quello dei territori ex-asburgici, dove l'accentramento politico e amministrativo, eredità del Risorgimento, dispiega subito i propri effetti. Il Governatorato militare, istituito in attesa della formale annessione, è un sistema che lo stesso De Gasperi definisce come spesso coloniale e quasi sempre antidemocratico. Le critiche mosse agli inefficienti burocrati del "nuovo" vengono spesso confuse, più o meno strumentalmente, come nostalgia del "vecchio". La strumentalizzazione è ancor meno celata nei confronti dei cattolici, che scontano l'avversione di indomite congreghe anticlericali.

Egli si batte, quindi, perché le autonomie di cui il Trentino aveva goduto sotto l'Austria vengano riconosciute dal Regno, rivendica il diritto per quelle popolazioni di eleggere i propri rappresentanti politici e amministrativi, chiede che i cittadini possano esprimere la propria opinione nella riorganizzazione amministrativa dei territori annessi. Riesce a strappare a Orlando l'istituzione di una Consulta, trova maggior sensibilità nel successore, Nitti, che dapprima sostituisce il Governatorato militare con un Commissario civile, il radicale Luigi Credaro, e poi, perdurando i contrasti tra "nazionali" centralisti (i liberali e i socialisti) e presunti "antinazionali" perché autonomisti (i cattolici), per ricomporre la situazione afferma in Parlamento che sarebbero state rispettate le tradizionali autonomie dei nuovi territori, evitando che la burocrazia accentratrice potesse ripetere gli errori del 1859 e del 1866.

I risultati positivi della battaglia degasperiana sono frutto anche delle pressioni, presso il Governo, del Partito Popolare Italiano di Luigi Sturzo, alla cui Presidenza del primo congresso, giugno 1919, è chiamato proprio De Gasperi. L'impegno organizzativo di laici e sacerdoti, che segue, porta alla nascita del Partito in Trentino, con più di 180 sezioni e circa 13300 iscritti. De Gasperi è nominato Segretario regionale, con il mandato di ottenere dal Governo pronte elezioni politiche e il riconoscimento formale delle autonomie, ricevendo ulteriori rassicurazioni da Nitti.

Le lungaggini di Versailles, con il conseguente ritardo di una annessione formale, non consentono tuttavia ai nuovi regnicoli di poter partecipare alle elezioni politiche generali del novembre 1919, mentre si sviluppa tra i partiti il dibattito, e le polemiche, sull'assetto istituzionale della nuova regione. Da una parte i liberali che sostengono una provincia unica, così che l'elemento tedesco dell'Alto Adige ne risulti in minoranza, dall'altra parte i popolari e i socialisti fautori delle due province, distinte, di Trento e Bolzano. Le trattative con il Governo, nelle quali è protagonista De Gasperi, approdano nel giugno 1920 ad un compromesso fondato sul riconoscimento delle autonomie comunali e provinciali e su una moratoria quanto alla sistemazione definitiva dei territori, in attesa che si potessero eleggere i deputati locali. Nel frattempo, una sorta di giunta rappresentativa dei partiti avrebbe sostituito il Commissario governativo e si sarebbe impostata, nei confronti degli altoatesini germanofoni, una politica che ne favorisse l'integrazione. Più che un compromesso, in realtà per De Gasperi è una vittoria su tutti i fronti, i cui risultati vengono confermati anche da Giolitti. Succedendo a Nitti pochi giorni dopo, Giolitti riceve De Gasperi e Conci e conferma loro la volontà del nuovo Governo di rispettare le autonomie e di procedere alla ratifica del trattato di pace con l'Austria, il che avrebbe aperto la strada all'annessione formale (la legge di annessione sarà approvata nel settembre) e alla possibilità di eleggere i rappresentanti politici locali. La prima prova elettorale (politiche del maggio 1921) dei cattolici trentini nel Regno è un successo, maggioranza assoluta dei voti e 5 deputati su 7, a conclusione di una campagna elettorale, inaugurata a Trento da Sturzo, condotta da De Gasperi (che risulta primo tra gli eletti) su temi locali, quali il riconoscimento delle autonomie, i problemi economici (l'economia del territorio era stata per secoli integrata nell'Impero) e la conferma dell'insegnamento obbligatorio della religione nelle scuole elementari e medie. Con l'elezione al Parlamento italiano si apre per De Gasperi una nuova fase dell'impegno politico che, pur mantenendo egli l'attenzione per le questioni locali, lo vede coinvolto in misura via via crescente nelle tematiche nazionali, in Parlamento e nel partito. Al secondo congresso del Partito Popolare (Napoli, aprile 1920) era stato eletto in Consiglio nazionale e in Direzione, appena eletto in Parlamento è chiamato a presiedere il gruppo parlamentare. Il suo primo intervento alla Camera, (giugno 1921) è ancora centrato sul tema dell'autonomia che, illustra, deve comportare anche potestà legislativa nelle materie di interesse locale quali istruzione, lavori pubblici, attività produttive. Memore delle esperienze vissute da suddito dell'Impero, De Gasperi sostiene l'autogoverno delle comunità locali che avrebbe così evitato politiche "centraliste" vessatorie nei confronti delle minoranze allogene e ne avrebbe favorito il processo di integrazione e la convivenza pacifica nei territori misti. Il Governo Bonomi, che succede a Giolitti nel luglio 1921, accoglierà larga parte delle istanze autonomistiche, grazie anche al sacrificio di De Gasperi che, per poter meglio seguire la vicenda, aveva rinunciato a entrare nel governo. Sacrificio coronato dal buon successo del Partito Popolare in Trentino alle prime Comunali del gennaio 1922.

Dall'osservatorio privilegiato di presidente del gruppo PPI, De Gasperi vive la crisi delle istituzioni democratiche nella quale il Paese sta sprofondando. Le violenze fasciste cui non si riesce a porre argine, l'impotenza del Governo Facta, che succede a Bonomi nel febbraio 1922, attualizzano sempre più l'ipotesi di una collaborazione parlamentare con i socialisti a difesa della democrazia minacciata dal fascismo. Già nel terzo congresso del partito (Venezia ottobre 1921) l'intervento di De Gasperi era stato all'insegna del possibilismo; comune ai due partiti è l'attenzione per la cura degli interessi dei lavoratori e l'obiettivo di inserire "le forze cospicue del lavoro" nella ricostruzione del Paese, sostiene nel febbraio 1922 nel corso del dibattito parlamentare sulla fiducia al Governo Bonomi. Nel giugno, alla vigilia della crisi del primo Governo Facta, scrive che "sarebbe assurdo respingere pregiudizialmente la collaborazione con un dato partito, quando questa potesse servire in qualche modo ai supremi interessi del paese".

L'opposizione decisa della Santa Sede, le divisioni tra i socialisti, non meno che l'emergere delle prime crepe nella compattezza del Partito Popolare, fanno fallire le trattative nel luglio 1922 durante la crisi del primo Governo Facta. L'avvento al potere di Mussolini, nell'ottobre 1922, apre una fase della storia del Paese caratterizzata da una rapida involuzione, fino alla abolizione di ogni forma di libertà politica e civile. De Gasperi ne sperimenterà, personalmente, gli aspetti più crudi. Egli presiede il direttorio del gruppo parlamentare nella riunione nella quale, durante le trattative per la formazione del primo Governo Mussolini, il PPI decide, contro il parere di Sturzo, di entrare nel governo. L'analisi storiografica si è a lungo soffermata su questo "errore" di De Gasperi, il quale si sarebbe illuso che Mussolini avrebbe "normalizzato" il fascismo, riportandolo nell'alveo della legalità costituzionale. In realtà, è difficile credere che De Gasperi potesse illudersi sulla "costituzionalizzazione" del fascismo, a giudicare da quanto scrive: nel giugno lo definisce un movimento "inteso a comprendere Stato, ordine, legge, vita pubblica con la semplice affermazione di una dittatura partigiana basata sulla violenza"; poi nel luglio, durante la crisi del Governo Facta, quando sembra prender corpo un'ipotesi di "coalizione antifascista", critica i "democratici" che sono rimasti "legati ai fascisti nella speranza che nelle nuove elezioni essi possano trovare un bastone e una rivoltella che li riporti con violenza in Parlamento". La decisione di entrare nel Governo Mussolini va piuttosto ricercata nella necessità di evitare una spaccatura del partito, all'interno del quale i primi dissensi si manifestano durante la crisi del luglio. Numerosi tra i popolari si erano dimostrati favorevoli alla partecipazione al governo e l'orientamento della Santa Sede era per una soluzione d'ordine. Vi è il rischio che la componente clerico-moderata abbandoni il partito e trovi un accordo con Mussolini, ricacciando il cattolicesimo politico ai tempi del Patto Gentiloni e vanificando tutta la battaglia antitrasformista e antimoderata condotta per decenni da Sturzo. Peraltro, un PPI fuori dal governo, nell'ipotesi di un consolidamento della posizione di Mussolini, sarebbe rimasto marginalizzato. Nessun compromesso tuttavia con i principi democratici, che De Gasperi ribadisce in Parlamento, il 17 novembre, nel corso del dibattito sulla fiducia. Rivolgendosi a Mussolini, che lo interrompe ripetutamente, e alla sua minaccia alla Camera ("potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli"), ne critica anzitutto il linguaggio, lo respinge, perché svilisce la massima istituzione rappresentativa del Paese, composta da "legittimi rappresentanti della Nazione". Ma non si tratta solo della forma: "il tono rude con cui il presidente del Consiglio ha iniziato il suo discorso ci richiama […] al fatto rivoluzionario che ha condotto il presente Governo al potere, […] che […] sarebbe opera vana e dannosa voler nascondere sotto le forme convenzionali e tradizionali del costume parlamentare". Infatti il fascismo, "è insorto con l'azione diretta e violenta", metodi che non corrispondono ai "criteri etici e politici" del PPI. Nonostante tutto ciò, il PPI entra nel nuovo governo "con la ferma speranza che […] quell'istituto parlamentare che i nostri padri ci hanno conquistato […] debba rimanere per rinvigorirsi a presidio della libertà dei cittadini e per la grandezza d'Italia. […] Né può supporsi in alcuno il proposito di ritornare ai Governi paterni e illuminati, riducendo il Parlamento ad una funzione meramente consultiva". Riferendosi poi all'ipotesi di scioglimento della Camera, minacciata da Mussolini ("fra due giorni o fra due anni"), De Gasperi afferma: "Fra due giorni o fra due anni, il gruppo popolare è pronto alla sua civile battaglia; ma l'appello al Paese subito o a tempo deve esprimere sempre la libera volontà del nostro popolo. Saprà il Re trovare il momento in cui ha da essere fatto. Noi solo, per la nostra dignità, chiediamo che lo scioglimento avvenga non un giorno più tardi di quello in cui si avverta la necessità di farlo per il bene della nazione, e che il sistema elettorale non sia mutato con artifici aritmetici o geometrici, i quali sovrappongano una minoranza alla maggioranza o ledano il principio della giustizia rappresentativa". In un colloquio con Mussolini, De Gasperi ottiene rassicurazioni sul mantenimento del sistema proporzionale ma in realtà la riforma elettorale che il fascismo propone con la legge Acerbo risulta proprio nel senso temuto da De Gasperi. Nella Commissione dei 18, di cui fa parte assieme a Giuseppe Micheli, risultano vani i tentativi dei due popolari per innalzare il quorum e abbassare il premio di maggioranza, e vano anche, al passaggio in Aula, un emendamento sul quale Mussolini pone la fiducia. L'approvazione della legge Acerbo, nel luglio 1923, in un clima di pesantissime minacce, causa anche l'inizio della manifesta disgregazione del Partito Popolare, con l'espulsione dei deputati popolari favorevoli, capeggiati dal clericomoderato Cavazzoni. La irrinunciabilità alla proporzionale era stata, peraltro, assieme alla questione della collaborazione in corso al Governo Mussolini, al centro del Congresso popolare di Torino dell'aprile precedente, collaborazione riassunta da Sturzo con la celebre affermazione "all'impiedi sì, in ginocchio no".

L'intervento di De Gasperi aveva ribadito l'autonomia del partito, l'alterità del popolarismo rispetto al blocco d'ordine che si andava cementando ("per gli uomini che vengono dall'azione cattolica o dalle organizzazioni operaie non vi può essere scelta alcuna tra il pericolo di perdere il mandato o quello di smarrire nella massa grigia di un blocco") e aveva giustificato come stato di necessità la partecipazione dei popolari al Governo Mussolini, partecipazione cui di lì a pochi giorni Mussolini avrebbe posto fine.

Nelle elezioni dell'aprile 1924, De Gasperi è rieletto in Parlamento. Il Ppi ottiene il 9 % e 39 deputati risultando il più numeroso gruppo tra i partiti di opposizione, nonostante il pesantissimo clima di intimidazione e le violenze dei fascisti che Matteotti denuncerà in Parlamento al costo della vita. Nel corso del Consiglio nazionale del maggio 1924 è eletto Segretario nazionale del Partito. Succede al triumvirato Rodinò-Gronchi-Spataro, che aveva retto la Segreteria dopo le "dimissioni" di Sturzo nel luglio dell'anno precedente, dimissioni espressamente richieste da Pio XI al fondatore del Partito popolare alla vigilia della discussione sulla legge Acerbo. Spetterà al leader trentino, da questo momento, conservare i princìpi del cattolicesimo democratico attraverso la lunga notte della democrazia. Fino a che sopravvive, per quanto esiguo, uno spazio politico, De Gasperi guida i popolari nell'opposizione al fascismo. Collabora con i socialisti nel Comitato delle opposizioni, dopo la scomparsa di Matteotti, e condivide la secessione dell'Aventino, anteponendo alle distinzioni ideologiche la necessità di un'azione comune a difesa della democrazia, contro la violenza e l'illegalismo fascista, azione nella quale i popolari avrebbero apportato il proprio contributo di coscienza cristiana. La collaborazione con i socialisti e la sempre più manifesta irriducibilità dell'opposizione del Partito Popolare di De Gasperi al fascismo non è però condivisa dalla Santa Sede. Questa critica la collaborazione e, ordinando al clero la più rigorosa neutralità nelle vicende politiche, di fatto taglia le radici ad un partito nel quale i sacerdoti avevano rappresentato, e continuavano a rappresentare, per innumerevoli realtà locali, l'anello di congiunzione tra il movimento cattolico sociale e la sua espressione partitica.

L'ondata di spedizioni punitive dei fascisti, con la devastazione delle sedi del partito, delle cooperative bianche, delle tipografie dove ancora si stampano i periodici popolari, rende sempre più esigui gli spazi di sopravvivenza del popolarismo. Il discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925 inaugura, di fatto, la dittatura ed a nulla valgono gli appelli delle opposizioni a Vittorio Emanuele III. Ricevuto da re nel giugno, anche De Gasperi tenta di rappresentare una situazione ormai drammatica. A fine giugno, il partito celebra a Roma quello che sarà il suo ultimo congresso nazionale. Il discorso di De Gasperi al quinto congresso del PPI rappresenta il testamento dei cattolici democratici impegnati in politica, cui De Gasperi affida il compito, per quanto ancora possibile, di difendere la democrazia e lo stato di diritto. Il diritto cristiano alla libertà della persona, come gli altri diritti naturali della famiglia, della società, che il fascismo negava in nome dello Stato.

Quando si comincia a ventilare l'ipotesi di porre fine all'Aventino, De Gasperi non la condivide perché vi attribuisce un grande valore simbolico di fronte unico antifascista, fronte da "spendere" nella ipotesi di nuove elezioni, reiteratamente e vanamente richieste al re dalle opposizioni. Un rientro in Parlamento sarebbe stato peraltro inconcepibile senza affrontare la "questione morale" del delitto Matteotti.

Alla cessazione delle pubblicazioni de "Il Popolo", nel novembre, seguono, il 14 dicembre 1925, le dimissioni di De Gasperi da segretario del PPI, nella speranza che un cambiamento nella leadership del partito alleggerisse le pressioni del fascismo. Per la stessa ragione si dimette, nel gennaio 1926 anche dalla direzione del "Nuovo Trentino". Ma le minacce alla sua incolumità diventano sempre più gravi e pertanto si trasferisce a Borgo Valsugana, in Trentino, ma i suoi movimenti sono vigilati dalla polizia. Dopo l'attentato di Zamboni a Mussolini, ai primi di novembre è vittima, assieme al fratello Augusto, di un rapimento da parte dei fascisti trentini e dopo pochi giorni, come tutti gli altri deputati antifascisti, è dichiarato decaduto dalla carica di deputato. Temendo il peggio, De Gasperi si nasconde, sotto falso nome, prima a Milano e poi a Roma e nel marzo 1927, mentre cerca di raggiungere Trieste con la moglie, viene arrestato e condotto al carcere "Regina Coeli" di Roma, con l'accusa di tentato espatrio clandestino. Difeso da Filippo Meda, viene condannato, nel maggio, a quattro anni di carcere (ridotti in appello a due, sentenza poi confermata in Cassazione nel giugno 1928), poi nel luglio 1927 viene ricoverato in clinica dove rimane agli arresti fino al luglio 1928, quando gli viene concesso un condono condizionale della pena a seguito della richiesta di mons. Endrici al sovrano. La fine delle misure restrittive è seguita da un regime di stretta sorveglianza, con divieto di lasciare Roma così che possa essere meglio tenuto d'occhio. Per sopravvivere si arrangia facendo traduzioni. Vive questo primo periodo della "lunga vigilia" tra difficoltà economiche e l'isolamento. Si era sposato nel giugno 1922 con Francesca Romani (dal matrimonio son già nate due figlie, Maria Romana e Lucia, che diventerà religiosa, e nasceranno in seguito altre due figlie, Cecilia e Paola) ma la famiglia lo raggiungerà a Roma solo nel gennaio 1929. Grazie all'interessamento di alcuni amici ex popolari, nell'aprile del 1929 è assunto come collaboratore alla Biblioteca Vaticana, incarico dignitoso che lo alleggerisce delle preoccupazioni economiche.

Qui si dedica agli studi, approfondendo la storia del movimento cattolico-sociale, e da un osservatorio privilegiato segue gli avvenimenti. Giudica positivamente il Trattato del Laterano, che consente alla Santa Sede libertà d'azione, ma teme che la politica concordataria possa indurre, in molti, confusione tra cattolicesimo e fascismo, anche perché non sono rare le dichiarazioni filofasciste di esponenti della gerarchia ecclesiastica. Sin da allora, tuttavia, quando poteva sembrare a taluno che si fosse tornati al connubio tra trono e altare, profeticamente scrive che "la realtà del sec. XX non tarderà a farsi sentire, le grandi masse ricompariranno dietro lo scenario", e auspica che "gli uomini di Chiesa non le perdano mai di vista, perché esse sono la realtà di oggi e di domani". La "crisi del ‘31", in merito all'Azione Cattolica, dimostra presto le reali intenzioni di Mussolini e quanto spazio questi lasciasse alla Chiesa nell'educazione dei giovani.

In quello stesso anno, con lo pseudonimo di Mario Zanatta, De Gasperi pubblica I tempi e gli uomini che prepararono la «Rerum Novarum» e l'anno successivo una corposa recensione della Storia d'Europa di Benedetto Croce, con l'obiettivo "di dimostrare che nella storia del XIX secolo i cattolici furono favorevoli alla libertà politica". Dal 1933 al 1938, a firma di Spectator, tiene una rassegna di eventi internazionali su "L'Illustrazione Vaticana", manifestando la propria avversione alle politiche esasperatamente nazionaliste, alla politica degli armamenti, alle teorie razziste, ai totalitarismi, da respingere perché estranei ai principi del cattolicesimo. Richiama ciò che era stato l'impegno di Benedetto XV per la pace e gli strumenti pacifici di soluzione delle controversie internazionali e, nel 1938, quando in Italia si cominciano a manifestare più aperte simpatie per le politiche razziste della Germania di Hitler, sottolinea il carattere universale del cattolicesimo e pertanto alieno dal nazionalismo e dal razzismo.

Parallelamente all'attività di pubblicista, De Gasperi svolge tuttavia, in questi anni, anche un'attività "pedagogica". A partire dai primi anni Trenta, sfuggendo alla sorveglianza del regime, raccoglie attorno a sé un gruppo di amici ex-popolari e più giovani esponenti di rilievo nazionale del laicato cattolico organizzato, come Guido Gonella e Bernardo Mattarella. Si riuniscono ora in casa di Spataro, ora di Scelba o altri, per incontri di studio, commentando, tra le altre, anche le opere che Sturzo va scrivendo dall'esilio londinese, opere "proibite" che De Gasperi riesce ad acquisire tramite la Biblioteca Vaticana. Assieme ai Caronia, Tupini, Campilli, Jacini, Corazzin, Corsanego, Cingolani, Longinotti, Giordani, progressivamente De Gasperi estende i rapporti alle nuove generazioni, cresciute nelle file dell'Azione Cattolica.

Dopo l'entrata in guerra dell'Italia, e più ancora dopo l'aggressione all'Unione Sovietica, nell'autunno del 1941 De Gasperi comincia a dare un metodo alle riunioni periodiche, che già si tenevano a Roma tra quel gruppo di amici. Tutto il gruppo degli ex popolari riteneva da tempo che il fascismo, seguendo la Germania nazista, non avrebbe potuto evitare a lungo situazioni drammatiche. Nell'estate-autunno del 1942, De Gasperi si reca in Trentino, dove incontra alcuni rappresentanti del movimento "guelfo" come Clerici, Malvestiti, Falck e poi, a Milano, Gronchi, Grandi, Jacini e i figli di Filippo Meda, Gerolamo e Luigi.

Le prime ipotesi di De Gasperi sono per la costituzione di un raggruppamento politico che comprenda anche laici come Bonomi, Ruini, Romita ma, in seguito agli incontri suddetti, prende corpo l'idea di costituire un partito di ispirazione cattolica che De Gasperi non vuol chiamare, come avrebbero voluto alcuni tra gli ex-popolari, Partito Popolare. Ciò per evitare di far pensare che vi potevano essere delle posizioni precostituite per "anzianità di servizio". Sceglie piuttosto il nome di Democrazia Cristiana, che rievoca l'età leoniana, per favorire la fusione tra la vecchia generazione e le esperienze maturate tra i giovani cresciuti nel laicato cattolico organizzato. Dalla fine del 1942 si comincia a strutturare quindi la rete clandestina del nuovo partito. Una Commissione Direttiva Centrale, presieduta da De Gasperi, da metà maggio 1943 fissa alcune "linee di ricostruzione" nel corso di una serie di riunioni tenute in casa di Spataro con alcuni ex-popolari. Successive elaborazioni portano alla stesura de Le idee ricostruttive della Democrazia Cristiana che viene diffuso a firma Demofilo, ancora clandestinamente prima del 25 luglio, in diverse parti d'Italia, dal Trentino alla Sicilia e poi, caduto il fascismo, più ampiamente.

Il programma del nuovo partito si basa sull'indispensabile ritorno alla libertà politica e sull'affermazione della democrazia rappresentativa, con un sistema bicamerale (una elettiva, l'altra basata sulla rappresentanza delle professioni) e il suffragio universale. Sono ribaditi tutti i postulati fondamentali del cattolicesimo democratico quali: decentramento amministrativo con la creazione delle regioni autonome, libertà di insegnamento, libertà della Chiesa, tutela della famiglia, riforma del sistema tributario sul principio della progressività e riforma del regime successorio, previdenza sociale, riforme agrarie, partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili d'impresa. Sul piano delle relazioni internazionali, si auspica una comunità internazionale che, con strumenti e compiti nuovi, non ripeta i fallimenti della Società delle Nazioni.

Parallelamente alla prima fase embrionale del nuovo partito, De Gasperi sviluppa i contatti con i rappresentanti degli altri partiti antifascisti. Dopo il 25 luglio, con la caduta del fascismo, democratici cristiani, liberali, socialisti, comunisti, democratici del lavoro e azionisti si riuniscono in Comitato nazionale delle correnti antifasciste, che si trasforma in Comitato di Liberazione Nazionale dopo l'armistizio. De Gasperi, assieme a Gronchi e Spataro, vi rappresenta la Democrazia Cristiana.

Le rappresaglie contro gli antifascisti, dopo la fuga del re che abbandona Roma ai nazi-fascisti, lo costringono, per ragioni di sicurezza, a nascondersi dapprima a Castelgandolfo, poi al Seminario lateranense (dove sono rifugiati anche altri membri del CLN come Ruini, Bonomi, Nenni, Saragat), infine al Palazzo di Propaganda Fide dove rimarrà fino alla liberazione di Roma nel giugno 1944.

Nel periodo della clandestinità, De Gasperi è impegnato in due "trattative" estremamente articolate, una con la gerarchia ecclesiastica, l'altra con i rappresentanti degli altri partiti antifascisti.

La diffusione dei principi del cattolicesimo democratico, contenuti nel programma del costituendo partito della DC, non garantiva di per sé un'adesione della Santa Sede al sistema democratico, premessa indispensabile nel progetto degasperiano di una Italia postfascista. Con grande abilità, grazie alle doti di equilibrio e moderazione, costruisce passo dopo passo una salda alleanza con la Chiesa per ottenere l'appoggio ad un partito di cattolici. Le sue qualità son ben note in Vaticano, tanto che proprio a De Gasperi si rivolge, nell'autunno del 1942, il direttore de "L'Osservatore Romano" Dalla Torre per redigere un memorandum sui movimenti antifascisti, richiestogli da Myron Taylor, rappresentante personale di Roosevelt presso Pio XII. La prospettiva proposta da De Gasperi nel documento è un governo composto da eminenti personalità appartenenti alle correnti antifasciste ma con l'esclusione dei comunisti.

Tra le principali preoccupazioni della Santa Sede vi è poi la questione dei Patti Lateranensi, cui non si fa cenno esplicito nei programmi dei democratici cristiani diffusi nella primavera-estate del 1943. Poi nel dicembre 1943, su "Il Popolo" clandestino, è pubblicato "La parola dei Democratici Cristiani", dove i Patti Lateranensi sono definiti una "pietra basilare" nei rapporti tra Chiesa e Stato in Italia.

Nelle discussioni con gli altri partiti, il tema principale è rappresentato dalla questione istituzionale. Molti tra i comunisti, i socialisti e gli azionisti, ma anche tra i democratici cristiani, propendono per una immediata presa di posizione per la soluzione repubblicana. De Gasperi deve minacciare di dimettersi da Presidente della Commissione DC per frenare le spinte antimonarchiche che provengono anche da suoi strettissimi collaboratori come Scelba, Spataro, Gronchi. Egli ritiene infatti un grave errore dividere le forze antifasciste finché è in corso la guerra di liberazione. La scelta avrebbe dovuto essere presa, a guerra finita, da tutti gli italiani, e questa sarà poi la posizione ufficiale del partito. Le minacce di socialisti, azionisti e comunisti di abbandonare il CLN se non si rompe con la monarchia impegnano De Gasperi nel frenare le loro "proposte giacobine", mentre le dimissioni del Presidente del Comitato Bonomi, che non intende subire il loro diktat, rischiano di compromettere la collaborazione tra i partiti antifascisti. L'arrivo del leader comunista Togliatti in Italia, il quale si dichiara favorevole ad accantonare la questione istituzionale e a collaborare con il Governo Badoglio ("svolta di Salerno" aprile 1944) fa sì che anche socialisti e azionisti accantonino la pregiudiziale antimonarchica e nasca così il primo governo nel quale sono rappresentati i partiti antifascisti.

Alla liberazione di Roma, nel giugno 1944, nasce il Governo Bonomi, sostenuto dai sei partiti del CLN, nel quale De Gasperi è nominato ministro senza portafoglio. Ha 63 anni quando, per la prima volta, assume un incarico di governo, aprendo così una fase della propria vita che lo vedrà, nel decennio che segue, protagonista della politica del Paese che egli avvierà sulla strada della ricostruzione morale, istituzionale e materiale. Per intanto, tuttavia, i contrasti tra i partiti sulla questione delle epurazioni determinano la caduta del Governo Bonomi nel novembre. Nel corso delle trattative che seguono, De Gasperi rifiuta la proposta di guidare un nuovo governo a tre con comunisti e socialisti, ritenendo essenziale la prosecuzione della collaborazione di tutte le forze politiche, in una situazione che vede ancora l'Italia settentrionale occupata e le forze della Resistenza impegnate contro i nazifascisti. Opera piuttosto per la ricostituzione di un nuovo Governo Bonomi (dicembre 1944) e vi assume la carica di ministro degli Esteri, posizione dalla quale può tenere contatti diretti con gli anglo-americani, le cui forze di occupazione detengono il potere reale nel Paese. I primi passi di De Gasperi agli Esteri consistono nella ricostruzione della rete diplomatica, con la nomina di nuovi ambasciatori per sottolineare il nuovo corso di una Italia democratica. La questione più urgente da affrontare è quella degli aiuti alimentari, in un paese alla fame, ma sullo sfondo vi sono le necessità dell'industria, per l'approvvigionamento di materie prime, e nel medio termine, il problema del rimpatrio dei prigionieri di guerra e le condizioni del trattato di pace. Mantiene gli Esteri nel Governo Parri (giugno 1945) che nasce all'indomani del 25 Aprile. Nel corso delle trattative, la DC aveva proposto la candidatura di De Gasperi a presidente del Consiglio, in contrapposizione a quella di Nenni che aveva avanzato la propria. De Gasperi, con la sua capacità di resistere alle ragioni del "vento del Nord", rappresentate da un sempre più coeso fronte che impensierisce i ceti medi e la borghesia, comincia a proporsi all'opinione pubblica come guida di un Governo che possa rappresentare tutte le istanze del Paese e non solo quelle di parte. L'impegno di ministro degli Esteri, con la fine della guerra e con il cedimento del confine orientale, verte anzitutto sulla sorte degli italiani d'Istria e Dalmazia, esposti alle rappresaglie dell'esercito iugoslavo. De Gasperi interviene con successo presso gli Alleati per far dislocare truppe sui territori contesi e per far evacuare Trieste, nel frattempo occupata da Tito - territori tutti la cui sistemazione avrebbe dovuto essere decisa dal trattato di pace - anche se tanti italiani nei territori sotto controllo iugoslavo sarebbero poi andati incontro ad una sorte drammatica. Alla questione del trattato di pace è dedicato poi, nel settembre 1944, il viaggio di De Gasperi a Londra, il primo di un rappresentante italiano dopo la fine della guerra. Ricevuto al cospetto dei ministri degli Esteri delle grandi potenze vincitrici, espone la posizione dell'Italia, nel quadro di una soluzione "in nome della solidarietà europea" e per la "ricostruzione di un mondo più giusto". Per quanto il suo discorso faccia buona impressione, la situazione internazionale dell'Italia rimane tuttavia drammatica.

Sul finire del 1945, in un paese sempre più agitato da manifestazioni di piazza e da diffusa illegalità, con i CLN refrattari a restituire il potere agli organi istituzionali, il Governo Parri è accusato dai liberali di debolezza e connivenza con i fautori di una "democrazia giacobina". Alle dimissioni dei ministri liberali, De Gasperi fa seguire quelle dei ministri DC per ribadire, ancora una volta, la ineluttabilità di un governo sostenuto da tutti e sei i partiti, finché non si fosse data voce agli elettori. La reazione di Parri, che accusa liberali e democratici cristiani di aver tentato un colpo di stato, rischia di compromettere l'immagine di un paese democratico che De Gasperi aveva fino a quel momento provato ad accreditare all'estero. Ricomposto faticosamente un accordo tra i sei partiti, tocca ora a De Gasperi guidare il Paese. Il 10 dicembre del 1945 nasce così il primo governo nella storia d'Italia guidato da un esponente del cattolicesimo democratico, nel quale il leader trentino tiene per sé anche gli Esteri per dare continuità a quella rete di rapporti internazionali già avviata. Nel nuovo governo, socialisti e comunisti mantengono il proprio peso, mentre appare ridimensionato quello di liberali, azionisti e demolaburisti, a riprova di come si stia distribuendo il consenso delle masse nel paese.

L'apprezzamento degli Alleati, soprattutto degli americani, si manifesta presto con l'incremento nell'invio in Italia di aiuti alimentari e con il trasferimento della giurisdizione su tutto il territorio, ad eccezione delle aree al confine giuliano. L'impegno di De Gasperi nei primi mesi da presidente del Consiglio, pur senza trascurare di seguire gli sviluppi delle discussioni sul trattato di pace, è rivolto principalmente alla preparazione della soluzione della questione istituzionale e delle elezioni per la Costituente, momento di legittimazione del ritorno alla democrazia, atteso tanto in Vaticano quanto dalle potenze vincitrici. Sulla scelta monarchia-repubblica la DC è piuttosto divisa e una presa di posizione netta può creare malumori in parte dell'elettorato, con il rischio di far perdere consensi. De Gasperi non può inoltre trascurare la paura nella gerarchia ecclesiastica del "salto nel buio". Si batte dunque, vincendo forti resistenze nel suo stesso partito - che nel I Congresso di Roma di fine aprile 1946 vedrà prevalere i sostenitori della repubblica con quasi il 75% dei consensi - per lasciare gli elettori della DC liberi di scegliere nel referendum popolare cui è demandata la scelta. La tattica degasperiana - "bisogna preparare la voltata, senza che si rivolti il carro" aveva affermato alla vigilia del Congresso di Roma - consente alla DC di ottenere un notevole successo alle contestuali elezioni per la Costituente del 2 giugno 1946, risultando il primo partito con circa il 35% dei consensi, seguita dai socialisti con circa il 20% e i comunisti con quasi il 19%. Le prime elezioni politiche dopo la caduta del fascismo mentre consolidano definitivamente il consenso dei tre grandi partiti di massa, segnano anche il definitivo ridimensionamento dei partiti dell'età prefascista.

La fase che si apre con l'esito del referendum istituzionale, che vede prevalere la soluzione repubblicana con circa due milioni di voti in più, rischia di gettare il paese nella guerra civile. I monarchici lanciano accuse di brogli e prendono a contestare l'interpretazione della legge elettorale, mentre la Cassazione si riserva di decidere sui ricorsi presentati invece di proclamare senza indugio la repubblica. Umberto II, succeduto al padre il 9 maggio, rinviando la partenza dall'Italia già programmata, sembra voler rimettere in discussione gli impegni presi scrivendo a De Gasperi di voler attendere l'esito dei ricorsi. Il Capo del Governo si reca più volte, in quei drammatici giorni, al Quirinale, alla ricerca di una soluzione che eviti traumi alla rinata democrazia italiana. La tensione nel paese cresce, soprattutto nel Mezzogiorno, dove i monarchici sono in larga maggioranza, e il 11 aprile a Napoli gli scontri provocano 9 morti e parecchie decine di feriti. Il giorno successivo, a sera, De Gasperi convoca il Consiglio dei ministri e, rompendo gli indugi, con un gesto coraggioso e dalle imprevedibili conseguenze, assume la carica di Capo provvisorio dello Stato in forza dell'art. 2 del decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98 che ne attribuiva la carica al Presidente del Consiglio. Il 13 giugno, conosciuti gli sviluppi della notte, e messo di fronte ai fatti compiuti del governo, Umberto II lascia l'Italia, non senza aver prima diramato un polemico proclama nel quale afferma: "in spregio alle leggi e al potere indipendente e sovrano della magistratura, il governo ha compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo, con atto unilaterale e arbitrario, poteri che non gli spettano, e mi ha posto nell'alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire la violenza".

Tra i decreti legislativi presidenziali promulgati da De Gasperi come Capo Provvisorio dello Stato bisogna ricordare l'Amnistia e indulto per reati comuni, politici e militari che prevedeva il condono delle pene per reati comuni e politici fino a 5 anni, un decreto sull'amnistia per i reati finanziari, alcuni decreti per l'operatività della Banca d'Italia e due decreti sull'Università, uno sulle nomine dei professori universitari avvenute senza la normale procedura del concorso, l'altro sull'istituzione di corsi straordinari presso le università per studenti reduci e assimilati.

Chiusa quindi la questione istituzionale, e rimessa la carica di Capo Provvisorio dello Stato il 1 luglio successivo nelle mani di Enrico De Nicola, eletto a sua volta il 28 giugno Capo Provvisorio dello Stato dall'Assemblea Costituente, De Gasperi può dedicarsi ora alla formazione di un nuovo governo espressione dei rapporti di forza emersi dal voto per la Costituente. Il primo Governo De Gasperi della Repubblica, costituito nel luglio 1946 essenzialmente dai rappresentanti dei tre partiti di massa che hanno ottenuto quasi il 80% dei voti (fanno eccezione alcuni esponenti del Partito Repubblicano e il liberale Corbino, a titolo personale, al Tesoro), vede ancora De Gasperi agli Esteri, con l'accordo che Nenni vi sarebbe subentrato una volta definito il trattato di pace. De Gasperi assume anche gli Interni per poter gestire direttamente il problema dell'ordine pubblico. Dall'Italia settentrionale, passando per il "triangolo della morte" in Emilia, fino alla Sicilia con il banditismo separatista, è un susseguirsi di disordini, causati anche dalle legittime rivendicazioni delle migliaia di disoccupati, talvolta strumentalizzate dai partiti di sinistra che non di rado seguono la politica del doppio binario, contestando sulle piazze le stesse decisioni che concorrono a prendere nel Governo. Di fronte al dilagare dell'illegalismo, una tolleranza del Governo rischia di far ripetere gli errori del periodo che aveva portato al regime fascista, dramma che De Gasperi ha già vissuto. Grazie alla riorganizzazione delle forze di polizia, cui vengono impartite ferme disposizioni, nonché a misure sociali per alleviare le condizioni dei più disagiati, col finire del 1946 la situazione dell'ordine pubblico comincia a rientrare nella normalità. Restano tuttavia i gravi problemi di natura economica, che il paese tutto attraversa e che causano le dimissioni in settembre di Corbino dal Tesoro a causa delle forti critiche dei comunisti alle sue misure di rigore. De Gasperi fa assumere quindi al proprio partito un'ulteriore sfida, sostituendo Corbino con un vecchio popolare, Bertone, e lanciando il "prestito della ricostruzione", il cui discreto successo nella collocazione consente di recuperare risorse finanziarie e dimostra una certa rinnovata fiducia del pubblico nelle possibilità di ripresa del paese.

Frattanto, nell'estate del 1946, si apre la Conferenza della Pace. Presto si rivela lo spirito fortemente punitivo del trattato nei confronti dell'Italia, cui poco o nulla è valsa la cobelligeranza e la Resistenza. Le perdite più pesanti riguardano i territori giuliano-dalmati, che sono attribuiti alla Jugoslavia, e il territorio di Trieste che, con una parte contigua dell'Istria, avrebbe dovuto essere costituito in Territorio Libero, indipendente, smilitarizzato e sotto supervisione delle Nazioni Unite. Nell'immediato tuttavia, in attesa dell'entrata in vigore di uno Statuto Permanente, il territorio è diviso in due zone, a nord la zona A governata dagli Alleati e a sud la B governata dagli jugoslavi. La cessione alla Francia di Briga e Tenda, la perdita di tutte le colonie comprese quelle prefasciste, assieme al pagamento di notevoli somme a titolo di riparazioni e alle limitazioni alla consistenza delle forze armate, completano un diktat che sin da subito preoccupa De Gasperi perché ne teme il rigetto da parte della Costituente cui spetta la ratifica. Il capo della Delegazione italiana, di cui fan parte anche Saragat e Bonomi, è chiamato al cospetto dell'Assemblea dei Ventuno, il 10 agosto, dove esordisce con la ormai celebre affermazione: "Sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: e soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che mi fa considerare come imputato...". Dopo aver sofferto le persecuzioni del regime fascista, paradossalmente tocca proprio a De Gasperi accettare di pagare il prezzo della guerra di Mussolini e dei crimini fascisti. Sottolinea come il trattato risulti fortemente punitivo. Non viene riconosciuta la cobelligeranza, il sacrificio dei partigiani nella Resistenza, le vittime civili delle rappresaglie, i deportati, né il valore, in termini politici e civili, della destituzione di Mussolini e del mutamento di indirizzo che, per quanto precipitato dagli eventi militari, non avrebbe avuto così profonde conseguenze "se non fosse stato preceduto dalla lunga cospirazione dei patrioti che in Patria e fuori agirono a prezzo di immensi sacrifici, senza l'intervento degli scioperi politici nelle industrie del nord, senza l'abile azione clandestina degli uomini dell'opposizione parlamentare antifascista (ed è qui presente uno dei suoi più fattivi rappresentanti) che spinsero al colpo di stato". De Gasperi ricorda all'Assemblea che nel comunicato della Conferenza di Potsdam si riconosceva che "l'Italia ha liberato se stessa dal regime fascista e sta facendo buoni progressi verso il ristabilimento di un Governo e istituzioni democratiche". Eppure adesso, che con la Costituente l'Italia ha un'Assemblea eletta democraticamente, la considerazione dei vincitori nei suoi confronti sembra subire una involuzione. Egli imposta le richieste italiane di riconsiderazione delle clausole del trattato rappresentando la volontà della nuova Italia di contribuire alla ricostruzione mondiale e conclude chiedendo "di dare respiro e credito alla Repubblica d'Italia: un popolo lavoratore di 47 milioni è pronto ad associare la sua opera alla vostra per creare un mondo più giusto e più umano". Gli appelli di De Gasperi ai vincitori cadranno nel vuoto ma, a conclusione dell'intervento, il Segretario di Stato americano Byrnes si leva per stringergli la mano, segno certo di solidarietà umana ma preludio di una special relationship che contribuirà presto, in maniera determinante, ad avviare un percorso per uscire dalle drammatiche condizioni economiche del dopoguerra.

Unica nota positiva nel disastro della sistemazione postbellica è quella relativa al confine settentrionale. Le rivendicazioni sull'Alto Adige dell'Austria sconfitta non trovano sponde nei vincitori e così De Gasperi riesce a risolvere la questione senza perdite territoriali. Con l'accordo con il ministro degli Esteri austriaco Gruber, nel settembre 1946, viene concessa una autonomia a tutela dei cittadini di lingua tedesca, cui De Gasperi associa le istanze autonomistiche del Trentino. La soluzione della questione autonomista, per la quale De Gasperi si era battuto nel primo dopoguerra, rappresenta un indubbio successo personale dello statista trentino.

Sul finire del 1946, prende corpo l'ipotesi di un viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti, che si concretizza ai primi del 1947. Ufficialmente è invitato ad un incontro organizzato dalla stampa per discutere dei problemi del dopoguerra ma coglie l'occasione per chiedere di incontrare i massimi rappresentanti dell'amministrazione americana, a cominciare dal presidente Truman. La finalità del viaggio, per De Gasperi, è principalmente quella di acquisire prestigio politico e, possibilmente aiuti economici. Sotto questo secondo aspetto, con fatica riesce a ottenere dei prestiti e forniture di grano e carbone ma il successo principale della visita è di carattere politico perché l'esito dei colloqui rinsalda la special relationship con gli Stati Uniti e dà maggior fiducia a De Gasperi per affrontare la delicata situazione nel Paese, dove nel frattempo, a seguito della scissione socialista, il Governo è in crisi.

Il nuovo Governo De Gasperi, ai primi di febbraio 1947, presenta già significativi mutamenti, con un ridimensionamento dei socialisti e dei comunisti e con un aumento di responsabilità per la DC cui vanno i dicasteri responsabili della politica economica, mentre agli Esteri, a garanzia della continuità di una politica filoamericana, va il repubblicano Sforza. Nonostante le pressioni del Vaticano per far cessare la collaborazione con i comunisti e i socialisti, De Gasperi deve tuttavia proseguire nella "collaborazione forzata". E' necessario infatti che anche le sinistre assumano la responsabilità degli atti che sono in agenda per la primavera del 1947, dalla firma del trattato di pace alla elaborazione della carta costituzionale da parte della Costituente, nonché trovare soluzione alla delicata questione dei Patti Lateranensi. Grazie al voto favorevole dei comunisti, nel marzo l'Assemblea approva l'introduzione in Costituzione dei Patti Lateranensi, segnando un ulteriore successo di De Gasperi e la riconferma della fiducia della Santa Sede nei suoi confronti.

La sempre più manifesta frattura sul piano internazionale tra i Grandi e l'incertezza degli ambienti industriali sulle capacità del Governo di fronteggiare la situazione economica e le dimostrazioni di piazza contro il carovita, con il rischio che possano evolvere in minacce politiche, spingono De Gasperi a coinvolgere nelle responsabilità di governo il "quarto partito", cioè esponenti che possano rassicurare gli ambienti economici e finanziari. L'opposizione di Nenni determina De Gasperi a rassegnare, a metà maggio 1947, le dimissioni. Gli infruttuosi tentativi di Nitti e Orlando di formare un nuovo Governo portano ancora una volta a guardare a De Gasperi, mentre pubbliche dichiarazioni antiamericane di Togliatti rischiano di compromettere le buone relazioni fin qui faticosamente costruite. Con un'ulteriore prova di coraggio, di cui sarà costellata tutta la sua carriera politica, De Gasperi pensa ad un monocolore DC, con qualche ministro tecnico, facendo assumere al proprio partito l'intero peso della gestione della cosa pubblica, consapevole che, in caso di insuccesso, la situazione nel paese sarebbe potuta franare a vantaggio delle sinistre. Deve vincere parecchie resistenze all'interno del suo stesso partito, tra chi teme che l'estromissione delle sinistre possa creare gravi disordini e chi preferirebbe non assumere tanta responsabilità considerata la drammatica situazione economica. Il IV Governo De Gasperi, che nasce alla fine del maggio 1947, vede la partecipazione, a titolo personale, di eminenti personalità: agli Esteri ancora Sforza, al neonato Ministero del Bilancio l'economista Luigi Einaudi il quale, assieme ad altri tecnici di impostazione liberista ai ministeri economici, è chiamato a rassicurare quegli ambienti industriali e finanziari definiti da De Gasperi il "quarto partito".

Le conseguenze temute, in termini di disordini e manifestazioni, risulteranno trascurabili, comunque sempre nel quadro di una opposizione democratica, e il Governo riesce a riprendere il controllo dell'economia, grazie alle severe misure prese da Einaudi ma anche grazie ai maggiori aiuti provenienti dagli americani, riuscendo così ad impostare una politica per la ricostruzione. Tuttavia i costi sociali risulteranno altissimi e ne risulterà sacrificato, per allora, il progetto di ricostruzione ispirata ai principi del solidarismo cattolico, di cui larga parte dello stesso partito di cattolici era pur portatrice.

Nonostante le difficoltà, nel secondo semestre del 1947 il Governo riesce ad ottenere qualificanti successi, come la ratifica del trattato di pace e, nel dicembre, l'approvazione della nuova Costituzione. A riprova della rinnovata fiducia di cui gode il Governo, il partito di De Gasperi recupera una consistente fetta dell'elettorato nelle Comunali di Roma dell'ottobre 1947 e si avvia a preparare la prossima campagna elettorale per le elezioni del primo Parlamento repubblicano. In dicembre, un rimpasto accoglie i rappresentanti di PSLI, PLI e PRI, avviando una formula destinata a durare a lungo.

In un clima internazionale ormai condizionato dalla divisione del mondo in due blocchi contrapposti, le elezioni del 18 aprile 1948 sono preparate in un contesto di scontro di civiltà. Da una parte il Fronte popolare social-comunista, espressione del "mondo comunista", dall'altro il "mondo libero" delle democrazie occidentali rappresentato dai partiti laici di centro e dalla DC. Al sostegno della Chiesa, mobilitata ben più che nelle elezioni del 1946, attraverso l'impegno di tutte le organizzazioni cattoliche coordinate dai Comitati civici, si aggiunge l'appoggio ai partiti di governo da parte dei paesi occidentali. La "Dichiarazione Tripartita" sul TLT del marzo 1948, rilasciata da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, per una restituzione all'Italia, per quanto a scopo propagandistico, fa buon gioco all'immagine del Governo. Più solide sono invece le ricadute attese dalla firma, proprio due giorni prima delle elezioni, del Trattato istitutivo della Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica (OECE), creata per gestire i fondi del Piano Marshall. Un ulteriore successo del Governo, agli occhi dell'opinione pubblica, in quanto è la prima organizzazione internazionale di cui la Repubblica Italiana è membro fondatore. A conclusione di una campagna elettorale dai toni apocalittici, nella quale De Gasperi tiene innumerevoli comizi in tutto il paese, la DC ottiene alla Camera il 48,5 % dei voti e la maggioranza dei seggi, un tale successo da sorprendere lo stesso leader trentino, preoccupato adesso di dover soddisfare aspettative anche contraddittorie, dalle più integraliste presenti in alcuni ambienti della Curia romana e di parte dell'A.C. alle più avanzate in termini sociali, rappresentate dalla sinistra dossettiana. Per sfuggire ai condizionamenti e alle ingerenze, anche della Chiesa, e dare un carattere laico al nuovo Governo che va a formare, De Gasperi intende proseguire la collaborazione con i partiti laici di centro ma le contraddizioni esistenti nella DC si manifestano presto. Tra i primi compiti del nuovo Parlamento vi è l'elezione del presidente della Repubblica, alla cui elezione De Gasperi propone Sforza ma, forse per la prima volta da quando ha fondato il partito, incontra una tale decisa avversione, da parte dei dossettiani che ritengono Sforza troppo filoamericano e da parte degli integralisti che lo ritengono troppo "laico", che dopo tre infruttuosi scrutini è costretto a orientarsi su Einaudi, eletto poi il 11 maggio. La vicenda è un'anticipazione delle difficoltà che dovrà affrontare De Gasperi nel corso dell'intera legislatura, il cui primo Governo (V Governo De Gasperi) nasce il 23 maggio con la partecipazione di PLI, PRI e PSLI. La linea di politica economica, affidata al dc Pella, è nel segno della continuità con le rigide misure intraprese da Einaudi. Ciò attira su De Gasperi, oltre alle scontate critiche dei partiti di sinistra, anche quelle di parte del suo stesso partito, che si manifestano apertamente nel Congresso di Venezia del luglio 1949. Dossetti lo accusa di non tenere in sufficiente conto la necessità di riforme nel campo economico e sociale, e di qui un'apertura del leader trentino alla componente dossettiana, con la carica di vicesegretario del partito affidata allo stesso Dossetti, quando nell'aprile del 1950 Gonella assume la segreteria DC. In realtà, De Gasperi non è affatto insensibile alla necessità di impostare un programma organico di riforme, prima fra tutte una riforma agraria, con il duplice scopo per un verso di incrementare la produzione e alleggerire la dipendenza dall'estero e per altro verso di far nascere una rete di piccoli proprietari meno condizionabili, rispetto a braccianti e giornalieri, dalla propaganda dei partiti di sinistra. Proprio a causa dei dissensi con i ministri liberali sulla riforma agraria, De Gasperi si dimette, nel gennaio 1950, dando vita pochi giorni dopo al suo VI Governo, con repubblicani e socialdemocratici, senza il condizionamento del PLI. Il programma del nuovo Governo è caratterizzato da un complesso di riforme di notevole rilievo, che troveranno parziale realizzazione ma che gettano le basi per un reale rinnovamento del paese. Dalla legge stralcio e la legge Sila nel settore dell'agricoltura (ministro Segni), completate dalla riforma agraria in Sicilia ad opera dell'Assemblea regionale siciliana, all'attenzione per le risorse del sottosuolo, in particolare gli idrocarburi, con l'avvio di un percorso legislativo che porterà nel 1953 alla nascita dell'Ente Nazionale Idrocarburi, tra i "motori" dello sviluppo economico italiano. Consapevole dello storico divario tra le due aree del Paese, il Governo De Gasperi istituisce nell'agosto 1950 la Cassa per il Mezzogiorno, sotto il controllo di un comitato di ministri economici e finanziari, allo scopo di realizzare infrastrutture essenziali, dagli acquedotti alle reti stradali, dalle bonifiche agli impianti industriali, direttamente ma anche sotto forma di finanziamento dell'iniziativa privata. Una riforma tributaria che implementa il principio costituzionale della progressività delle imposte dirette (ministro delle Finanze Vanoni), un piano per la costruzione di case popolari (Piano INA-Casa), altri provvedimenti a sostegno della disoccupazione, possono dare l'idea dell'impegno di De Gasperi per la ricostruzione. Tuttavia, l'impegno di risorse previsto deve subire un certo ridimensionamento in corso d'opera a causa di una nuova emergenza internazionale, lo scoppio della Guerra di Corea nel giugno 1950, che impone a De Gasperi di distrarre parte delle risorse per destinarle alle forze armate e soprattutto alle forze di sicurezza interna, nel timore di tentativi insurrezionali ad opera dei comunisti italiani. Le minacce alla democrazia tuttavia possono venire anche dalla destra neofascista che potrebbe approfittare di una debolezza del Governo nel fronteggiare minacce eversive da sinistra e tentare così soluzioni di forza. A questo scopo fa presentare al ministro dell'Interno Scelba un disegno di legge (poi approvata nel giugno 1952) che vieti la ricostituzione del partito fascista. La politica riformatrice di De Gasperi è osteggiata dagli ambienti conservatori, soprattutto dagli agrari del Mezzogiorno, e nelle amministrative del 1951 la DC perde consensi a favore della destra monarchica e missina. I dossettiani criticano invece De Gasperi e la politica economica di Pella, provocandone le dimissioni, cui seguono le dimissioni dello stesso presidente del Consiglio. Nel nuovo Governo del luglio 1951 DC-PRI (VII Governo De Gasperi), il confronto tra le posizioni delle correnti più conservatrici della DC e le spinte per maggiori aperture sociali si risolve in un compromesso che vede ancora Pella al Bilancio, mentre il Tesoro va a Vanoni (che mantiene anche le Finanze), portatore di istanze più vicine ai principi del cattolicesimo sociale. L'insoddisfazione di Dossetti si manifesta con le dimissioni da vicesegretario, cui seguiranno quelle dalla Direzione in ottobre e infine l'anno successivo anche da deputato. Il venir meno del contrappeso alle istanze delle componenti clericali e laiche più accesamente anticomuniste, rappresentato fin qui dal dossettismo, indebolisce la posizione centrista di De Gasperi che è ora investito da un vento di destra.

Già nel luglio 1949 il Sant'Uffizio aveva comminato la scomunica a tutti coloro che erano iscritti ai partiti comunisti o che vi collaboravano. Per quanto la Santa Sede avesse precisato che il decreto non avesse scopi politici, esso aveva cominciato a rappresentare uno strumento di pressione sulla politica del Governo da parte di determinati ambienti ecclesiastici. Sul finire del 1951 Pio XII fa sapere a De Gasperi di ritenere troppo debole la politica anticomunista del Governo ed eccessivamente dura quella contro la destra neofascista ma De Gasperi resiste all'ipotesi di mettere fuori legge il partito comunista. Le pressioni della destra cattolica ecclesiastica per la formazione di un fronte anticomunista che coopti i partiti di destra, compresi i neofascisti del Movimento Sociale, si manifestano apertamente nella primavera del 1952, in preparazione della campagna elettorale per le amministrative nella capitale, con l'ipotesi di una lista civica formata da DC, monarchici e missini. De Gasperi rifiuta tale ipotesi che avrebbe sicuramente causato il ritiro dei repubblicani dal Governo e aperto una crisi dagli esiti incerti. Propone piuttosto un apparentamento dei partiti centristi, eventualmente allargato ai qualunquisti per pescare nell'elettorato moderato. La Santa Sede non intende abbandonare i propri progetti e, per dare all'operazione connotati democratici, invita il padre del popolarismo prefascista, don Luigi Sturzo, a promuovere una lista civica aperta a destra, con tutti i partiti anticomunisti. La cosiddetta "operazione Sturzo" non porta agli esiti sperati dagli ispiratori per la avvedutezza del vecchio leader popolare che, consultati i rappresentanti dei partiti di centro e accertatane la netta contrarietà, dunque avvalorando i timori di De Gasperi per le eventuali conseguenze sul piano politico nazionale, rinuncia a perseguire l'ipotesi di un neo-listone. Sfuma anche la minacciata lista di cattolici appoggiati dai Comitati civici e dalla Santa Sede da contrapporre alla DC, spaccando di fatto il partito. L'opera di chiarificazione del partito montiniano all'interno dei vari rami dell'A.C. e infine le minacciate dimissioni dello stesso De Gasperi determinano la gerarchia ad appoggiare ancora una volta il disegno degasperiano di un apparentamento con i partiti centristi, il che assicurerà poi il successo alle elezioni nel maggio 1952. La fermezza di De Gasperi, e il suo coraggio nel resistere alle pressioni di Pio XII, allontana la prospettiva di una involuzione a destra della democrazia italiana, appoggiata a monarchici e neofascisti, ed evita il fallimento di tutta l'impostazione democratica che il leader trentino ha fin qui perseguito. Ciò, tuttavia, gli costa un prezzo altissimo, che si aggiunge alla delusione per essere stato ritenuto non all'altezza di fronteggiare il comunismo. Prezzo in termini politici, con la fine della fiducia di Pio XII nei suoi confronti, e in termini personali, con il rifiuto di esser ricevuto in udienza privata, in giugno, per l'anniversario di matrimonio e in occasione dei voti presi dalla figlia suor Lucia. Anche in questa occasione, pur se da cristiano accetta l'umiliazione, la consapevolezza del ruolo laico di presidente del Consiglio non gli permette di subire il comportamento del Papa senza rimanerne stupito, riservandosi di chiedere chiarimenti alla Segreteria di Stato, come scrive all'ambasciatore italiano presso la Santa Sede. La preoccupazione di De Gasperi per le conseguenze della vicenda nei rapporti tra gerarchia e DC riguarda ora, nella seconda metà del 1952, l'atteggiamento che in Vaticano si può tenere in occasione delle prossime politiche del giugno 1953. Nell'agosto, gli si rappresenta il gradimento di Pio XII, in vista delle politiche, per un accordo con i monarchici, nonché la possibilità di un incontro con il Papa, a risarcimento del rifiuto precedente. Nel corso del colloquio con il messo pontificio monsignor Pavan, De Gasperi ribadisce la propria visione politica, che rimane fedele alla collaborazione con i partiti di centro, e non manca di dichiararsi pronto a lasciare la politica se tale condotta dovesse risultare contraria ai desiderata di Pio XII.

Per provare a resistere meglio alle pressioni per le soluzioni proposte dalla destra clericale, De Gasperi comincia a pensare ad una modifica della legge elettorale che possa dare una maggioranza più ampia alla coalizione vincitrice, così da rendere più solido il blocco centrista, al centro del quale si colloca la DC. Strenuamente avversata dalle opposizioni di destra e di sinistra sulle piazze e in Parlamento, ribattezzata "legge truffa" e associata impropriamente alla "legge Acerbo", la legge maggioritaria viene approvata nel marzo 1953 e prevede l'attribuzione di 2/3 dei seggi alla Camera al partito o al gruppo di partiti apparentati che vi raggiungano la maggioranza assoluta dei voti. Le elezioni del giugno 1953 tuttavia segnano un ridimensionamento dei consensi raccolti dalla DC, che scende a circa il 40%, consensi che sommati a quelli degli altri tre partiti centristi apparentati con la DC non consentono di raggiungere la maggioranza dei voti e pertanto il premio di maggioranza non scatta. La coalizione mantiene tuttavia nel nuovo Parlamento una risicata maggioranza ma i veti incrociati dei partiti minori fanno fallire le trattative per un nuovo governo centrista condotte da De Gasperi, che preferirebbe passare la mano, dietro insistenza del presidente Einaudi. Al termine di consultazioni articolate, nel corso delle quali De Gasperi incontra i rappresentanti di tutti i partiti, dalla sinistra socialcomunista alla destra monarchica e missina, compie l'ennesimo sacrificio della sua carriera politica, presentando un monocolore DC. Le estreme votano contro, gli antichi alleati, cui De Gasperi aveva consentito di partecipare al Governo, non vanno oltre l'astensione, e per 10 voti il VIII governo De Gasperi non ottiene la fiducia. L'esperienza dei governi guidati dal leader trentino si conclude ma le insistenze di Einaudi perché assuma gli Esteri lo inducono ad accettare a condizione che gli possa succedere Piccioni alla guida del governo. Sono ancora i partiti di centro, che non vogliono il ritorno di De Gasperi agli Esteri, a far fallire le consultazioni. Il tentativo riuscito di Giuseppe Pella, che a metà agosto presenta un monocolore DC gradito a liberali e repubblicani, con l'astensione di socialdemocratici e monarchici, chiude così definitivamente le esperienze di governo di De Gasperi.

Per quanto stanco e già ammalato, nel settembre 1953 assume l'onere, ancora una volta dopo sette anni, di guidare il partito per rafforzarne l'unità. La sua elezione a segretario avviene tuttavia con circa il 30% di schede bianche, manifesta spaccatura della quale peraltro vicendevolmente si accusano i vecchi popolari da una parte e i giovani di "Iniziativa Democratica" dall'altra. Alla delusione di De Gasperi per le modalità dell'elezione a segretario, si aggiungono, nei mesi successivi, le accuse di chi vede la sua regia nella caduta del Governo Pella per sostituirvisi, nonostante l'appoggio della Direzione al presidente del Consiglio nella vicenda dello scontro con Tito per il TLT. Ancora delusione per l'esito del tentativo di Fanfani di far nascere un monocolore DC, nella speranza che rafforzasse l'unità del partito e, con questa, la democrazia. Per sostenere Fanfani, a fine gennaio 1954 De Gasperi interviene alla Camera, per quello che sarà il suo ultimo discorso in Parlamento, esprimendo tutta la propria delusione per il tradimento delle aspettative sorte nei primi anni dopo il ritorno alla democrazia. Spende poi tutta la propria autorevolezza per sostenere il tentativo di Scelba che, nel febbraio, riesce a varare un governo basato sulla formula centrista. Alle amarezze causate dalle critiche che gli provengono dalla gerarchia per il suo ribadire, nel corso del Consiglio Nazionale di marzo, l'autonomia del credente quando questi agisce come cittadino, si aggiunge la clamorosa accusa lanciata da Guareschi. Basandosi su documenti che risulteranno in seguito falsi, lo scrittore accusa De Gasperi di aver esercitato pressioni nel 1944 per indurre gli Alleati a bombardare Roma. Il processo nell'aprile, in seguito alla querela di De Gasperi, dimostra l'assoluta falsità della vicenda.

In una serie di penose vicende, che gravano sul leader trentino le cui condizioni di salute peggiorano sempre più, una soddisfazione gli rende giustizia dell'impegno profuso fino ad allora per la costruzione dell'edificio europeo: l'elezione all'unanimità, nel maggio 1954, a presidente dell'Assemblea della Comunità Economica del Carbone e dell'Acciaio (CECA). La consapevolezza che i popoli europei avessero valori morali e spirituali comuni, retaggio del cristianesimo, in De Gasperi affonda le radici negli anni giovanili, nella sua esperienza di cittadino e parlamentare di quel grande impero multinazionale costituito dall'Impero austro-ungarico. Affina poi l'attenzione e la sensibilità per i problemi internazionali analizzando, dall'osservatorio privilegiato del Vaticano, le crisi degli anni Trenta. Nei programmi democratici cristiani per la rinascita del Paese, il timido cenno alla Comunità europea appare più in un'accezione geografica che politica e tradisce la consapevolezza che, per allora, con la guerra in corso, disegni sovranazionali sono improponibili. Ciascuno stato europeo, alla fine della guerra, avrebbe perseguito i propri interessi nazionali, mentre ipotesi sovranazionali avrebbero potuto ingenerare, nei vincitori, il sospetto che fossero strumentali al sottrarsi, da parte degli sconfitti, alle conseguenze della guerra. Non a caso, ancora nel dicembre 1945, nel corso del secondo congresso del Mouvement Républicain Populaire (MRP) tenutosi a Parigi, financo i ben più modesti tentativi di riallacciare i contatti tra i movimenti democratici d'ispirazione cristiana dei paesi europei, attraverso la creazione di un Segretariato internazionale, vengono ritenuti prematuri dai cattolici francesi del MRP. In realtà essi temono di essere accusati dai loro avversari interni di voler depotenziare le rivendicazioni francesi verso l'Italia e pertanto escludono ogni possibilità e ragione di intesa tra gli stessi partiti europei.

Sarà solo nella primavera del 1947 che matureranno le condizioni per il Congresso di Chaudfontaine, vicino Liegi, dove ai primi di maggio vedrà la luce la "Nouvelles Equipes Internationales - Union Internationale des Démocrates Chrétiens" (NEI), quando le rivendicazioni francesi avranno trovato soddisfazione nel trattato di Pace. Non a caso i primi contatti con i democratici cristiani tedeschi, invitati poi in qualità di osservatori al Congresso di Lussemburgo del 29 gennaio - 10 febbraio 1948, sarebbero stati avviati solo nel settembre 1947, finalizzati ad un incontro realizzato, nella più stretta discrezione, nel novembre successivo. Nell'autunno del 1947 infatti, accettato alla Conferenza di Parigi sul Piano Marshall il principio che la ricostruzione tedesca dovesse avvenire in maniera "controllata" a garanzia delle preoccupazioni francesi, si creavano i presupposti di un processo di integrazione della Germania, processo che avrebbe avuto come protagonisti proprio i leaders cattolici europei, De Gasperi, Adenauer, Schuman.

Il percorso che porta i paesi europei sulla strada dell'integrazione e De Gasperi ad esserne protagonista, si apre con il lancio del Piano Marshall, nel giugno 1947, da parte degli Stati Uniti, per un programma organico di aiuti ai paesi europei, cui De Gasperi subito aderisce, reinserendo l'Italia nel gioco politico internazionale. Il Piano Marshall, inteso dagli americani come una iniziativa integrativa e non sostitutiva di una iniziativa dei paesi europei, comporta la creazione di un Comitato per la Cooperazione Economica Europea nel quale i rappresentanti dei paesi europei elaborino, in una prospettiva di integrazione delle economie e di liberalizzazione dei commerci, un piano comune espressione delle richieste collettive da sottoporre agli Stati Uniti per ottenerne il finanziamento. Il Comitato si riunisce a Parigi nel luglio, stabilendo l'istituzione di comitati per lo studio delle proposte di integrazione, condizione essenziale posta dagli Stati Uniti. Gli sviluppi degli incontri di Parigi, che si protraggono per parecchi mesi, porteranno alla costituzione dell'OECE. Per De Gasperi, le proposte di integrazione possono rappresentare per l'Italia una soluzione ai problemi economici di un paese sostanzialmente privo di materie prime, con un apparato industriale distrutto dalla guerra e con un elevato surplus di forza lavoro inoccupata. Così, nell'agosto 1948, per dare maggiore impulso al processo in corso e approfondirne anche gli aspetti sociali e culturali, l'Italia presenta un progetto che prevede la costituzione di un organismo politico nel quale affrontare i temi di interesse internazionale e una Corte europea di giustizia. Per allora il progetto non sembra raccogliere consensi presso i partners europei ma De Gasperi torna a riprendere il tema europeistico in un discorso a Bruxelles nel novembre su "Le basi della democrazia".

Le preoccupazioni di De Gasperi, in un mondo ormai diviso in due blocchi contrapposti, riguardano tuttavia l'aspetto della sicurezza, non meno che le questioni economiche. Quando nel marzo si negoziava l'Unione Europea Occidentale tra Francia, Gran Bretagna, Belgio, Olanda e Lussemburgo, il presidente del Consiglio aveva declinato l'invito a parteciparvi non essendo ancora stato eletto un Parlamento che potesse assumere l'impegno di un'alleanza militare. Nel timore che l'Italia potesse rimanere priva di garanzie militari, e vista la riluttanza degli Stati Uniti a concedere una garanzia bilaterale, quando nel settembre cominciano i negoziati tra UEO, Canada e Stati Uniti per la costituzione del Patto Atlantico, assicurazione all'Europa occidentale della garanzia militare americana, De Gasperi imposta una campagna diplomatica perché anche l'Italia vi sia ammessa. Superando resistenze internazionali e interne, anche alla stessa DC, dove i dossettiani sostengono la neutralità, De Gasperi riesce ad assicurare all'Italia la necessaria garanzia militare con la firma, come paese co-fondatore, del Patto Atlantico nell'aprile 1949. Nel maggio inoltre, l'Italia è tra i paesi firmatari del Trattato di Londra, istitutivo del Consiglio d'Europa, prima assemblea europea rappresentativa delle istanze più fedeli alla prospettiva federalista. Conquistato da Spinelli agli sviluppi federalistici, De Gasperi accetta senza riserve la soluzione proposta, fino a giungere alla firma, nel novembre 1950, della petizione popolare promossa dall'Unione Europea dei Federalisti per la creazione di uno Stato federale europeo. Sul piano dell'azione governativa, dal maggio 1950 l'Italia partecipa ai negoziati sul piano Schuman per la messa in comune delle risorse europee nei settori del carbone e dell'acciaio, da affidare ad una istituenda "Alta Autorità", progetto che darà vita nell'aprile 1951 al primo organismo europeo dai poteri sovranazionali con la nascita della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (CECA). Lo scoppio della guerra di Corea, nel giugno 1950, viene a saldare i percorsi che fino a quel momento si sono sviluppati sul piano economico con le esigenze di sicurezza dei paesi europei. La minaccia di una invasione sovietica ripropone l'ipotesi di un riarmo della Germania federale, ipotesi che la Francia teme più ancora della ripresa economica tedesca. Per tenere sotto controllo il riarmo tedesco, il Piano Pleven propone la costituzione di un esercito integrato europeo sotto le direttive di un Ministro della difesa comune che risponda ai governi e ad una assemblea europea. De Gasperi condivide da subito l'iniziativa francese, intravedendo nella creazione della Comunità europea di difesa (CED) gli sviluppi che ne potranno seguire sul piano della integrazione politica ed economica. Si impegna pertanto per implementare il progetto e, nel dicembre 1951, è protagonista di una intensa offensiva diplomatica, all'Assemblea del Consiglio d'Europa e in sede di riunioni dei ministri degli Esteri della CECA, per affidare alla costituenda Assemblea CED poteri costituenti. L'articolo 38 del trattato istitutivo della CED, firmato a Parigi nel maggio 1952 tra i sei paesi CECA, recepisce appieno il progetto di De Gasperi, prevedendo che l'Assemblea CED agisca come Costituente europea per elaborare un progetto di unione federale. I risultati della politica europeistica di De Gasperi rappresentano uno straordinario successo ma il trattato deve ancora affrontare il processo di ratifica da parte dei paesi firmatari. Per accelerare i tempi della redazione di un progetto di costituzione federale, in attesa delle ratifiche CED, De Gasperi è protagonista, nel giugno successivo, di una ulteriore iniziativa per affidare all'Assemblea della CECA il compito di compiere i primi passi per la predisposizione del progetto. In settembre De Gasperi, cui non manca il supporto di Schuman e Adenauer, vede accogliere la propria proposta a suggello di un tenace impegno unanimemente riconosciutogli e che gli vale l'attribuzione, a fine settembre 1952, del premio Carlo Magno. Nel discorso pronunciato nell'occasione, De Gasperi insiste sulla necessità che si formi, negli uomini chiamati a gestire le istituzioni europee, una mentalità europea, senza la quale tutto rimarrebbe sul piano esclusivo delle formule giuridiche. Nel marzo 1953 l'Assemblea presenta il progetto, la formula giuridica di una unione europea, ma la mentalità europea invocata da De Gasperi è ancora di là da venire. Insiste sulla necessità di pronte ratifiche nel discorso che tiene, nel maggio 1954, al momento dell'insediamento a presidente dell'Assemblea CECA. Per quanto riguarda l'Italia, De Gasperi ne aveva rimandato la presentazione a dopo le elezioni del 1953. Ora, non più a capo del Governo, ne raccomanda l'importanza ai suoi successori, Pella, Fanfani, Scelba.

In condizioni di salute sempre più precarie, nel luglio 1954 De Gasperi pronuncia, nel corso del Congresso DC di Napoli, il suo ultimo discorso, il suo testamento politico. Invita i suoi successori a non trascurare le esigenze dei meno abbienti, senza danneggiare tuttavia i ceti medi, intelaiatura della democrazia. Aperturista nei confronti dei socialisti quando questi avessero preso le distanze dal regime bolscevico, De Gasperi insiste sull'unità del partito, da alimentare con l'ispirazione cristiana. Sul piano operativo, tuttavia, ribadisce ancora una volta l'autonomia laica delle scelte, e frutto del confronto democratico.

Ritiratosi nel suo Trentino, per il quale aveva lungamente e duramente combattuto, ormai privo di strumenti per incidere sul percorso della sua creatura europea, destinata di lì a breve a subire una lunga battuta d'arresto a seguito del rifiuto francese alla ratifica della CED, Alcide De Gasperi scompariva il 19 agosto 1954.

 

 

BIBLIOGRAFIA

La più completa bibliografia su De Gasperi è riportata sui siti internet della Fondazione Trentina Alcide De Gasperi (www.degasperitn.it) e dell'Edizione nazionale dell'epistolario di Alcide De Gasperi (www.epistolariodegasperi.it), dove viene costantemente aggiornata e integrata. Un'edizione a stampa di questa, in Aa. Vv., Lezioni degasperiane 2004-2018, a cura di Giuseppe Tognon, Trento, FBK Press, 2018. Utile, anche se si arresta al 2013, la bibliografia ragionata redatta da F. Malgeri, in Su De Gasperi. Dieci lezioni di storia e politica, a cura di Giuseppe Tognon, Trento, FBK Press, 2013.

L'imponente produzione di De Gasperi è stata solo parzialmente raccolta, considerata la gran quantità di scritti e discorsi dello statista trentino, in una edizione critica coordinata da P. Pombeni, in quattro volumi per complessivi 10 tomi corredati da un volume di Repertorio (Scritti e discorsi politici, Il Mulino, Bologna, 2006-2009), con saggi introduttivi di P. Pombeni, G. Vecchio, G. Formigoni e P.L.Ballini. Si vedano inoltre i volumi di seguito indicati.

Per il periodo trentino: A. De Gasperi, I cattolici trentini sotto l'Austria. Antologia degli scritti dal 1902 al 1905, con i discorsi al Parlamento austriaco, con Prefazione di Gabriele De Rosa, 2 voll., Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1964; alcune lettere dello stesso periodo in Lorenzo Bedeschi, Murri, Sturzo, De Gasperi. Ricostruzione storica ed epistolario (1898-1906), San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1994.

Per il primo dopoguerra: Atti dei congressi del Partito popolare italiano, a cura di F. Malgeri, Brescia 1969; A. De Gasperi, Discorsi parlamentari, 1921-1954, 2 voll. a cura della Camera dei Deputati, Roma 1985; A. De Gasperi, Le battaglie del Partito Popolare. Raccolta di scritti e discorsi politici dal 1919 al 1926, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1992.

Per il periodo fascista: A. De Gasperi, Lettere dalla prigione; 1927-1928, Mondadori, Milano 1955; A. De Gasperi, Lettere sul Concordato, Marietti, Genova 2004; A. De Gasperi, Cara Francesca. Lettere, a cura di M.R. De Gasperi, Morcelliana, Brescia 1999; A. De Gasperi, I cattolici dall'opposizione al governo, Laterza, Bari 1955; che contiene alcuni saggi di carattere storico, tra i quali I tempi e gli uomini che prepararono la "Rerum Novarum", Gli insegnamenti e le direttive sociali di Pio XI, e una selezione delle note pubblicate quindicinalmente su "L'Illustrazione vaticana" tra il 1933 e il 1938 con lo pseudonimo di Spectator (su queste ultime si veda anche A. Paoluzi, De Gasperi e l'Europa degli anni Trenta, Roma, Cinque Lune, 1974); A. De Gasperi, Scritti di politica internazionale 1933-38, 2 voll., con Presentazione di G. De Rosa, Città del Vaticano 1981; A. De Gasperi, Diario 1930-1943, a cura di M. Sergio, con Prefazione di M.R. De Gasperi, Il Mulino, Bologna 2018; L. Sturzo - A. De Gasperi, Carteggio (1920-1953), a cura e con Introduzione di F. Malgeri, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006; G. Rossini, De Gasperi e il fascismo, Cinque lune, Roma 1974 (con la documentazione relativa all'arresto e al processo del 1927); M. Gentilini (a cura di), Fedeli a Dio e all'uomo. Il carteggio di Alcide De Gasperi con don Giulio Delugan (1928-1954), con Introduzione di F. Malgeri, Fondazione Museo Storico del Trentino, Trento 2009; L. De Gasperi, Appunti spirituali e lettere al padre, Morcelliana, Brescia 1968.

Per il periodo successivo al 1943: scritti di De Gasperi si trovano negli Atti e documenti della Democrazia cristiana 1963-1968, Roma 1967, I, pp. 1-8, 21-31, 36-51 (Idee ricostruttive della Democrazia cristiana; La parola dei democratici cristiani; Il programma della Democrazia cristiana); De Gasperi scrive. Corrispondenza con capi di Stato, cardinali, uomini politici, giornalisti, diplomatici, a cura di Maria Romana e Paola De Gasperi, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2018; Lettere al Presidente: Carteggio De Gasperi-Malvestiti, 1948-1953, a cura di C. Bellò, con una testimonianza su De Gasperi di Piero Malvestiti, Bonetti, Milano 1964; A. De Gasperi, Discorsi parlamentari, 2 voll., Camera dei Deputati, Roma 1985; A. De Gasperi, Discorsi politici, a cura di T. Bozza, 2 voll., Cinque lune, Roma 1976; De Gasperi e l'Europa, scritti e discorsi, a cura di M.R. De Gasperi, Morcelliana, Brescia 1979; Scritti politici di Alcide De Gasperi, a cura e con Introduzione di P. G. Zunino, Feltrinelli, Milano, 1979; G. Fanello Marcucci, Alle origini della Democrazia Cristiana 1929-1944. Dal carteggio Spataro-De Gasperi, Morcelliana, Brescia 1982 (con un'ampia appendice di lettere scambiate tra Spataro e De Gasperi); Prefazione a G. Toniolo, Democrazia cristiana. Concetti e indirizzi, I, Città del Vaticano 1949.

Fonti in bibliografia, nei quali è utilizzata documentazione originale di un certo interesse sono le biografie della figlia M.R. Catti De Gasperi, De Gasperi uomo solo, Mondadori, Milano 1964 e di G. Andreotti, De Gasperi e il suo tempo. Trento, Vienna, Roma, Mondadori, Milano1964 II ed., Id., Intervista su De Gasperi, a cura di A. Gambino, Laterza, Bari 1977 e Id., De Gasperi visto da vicino, Rizzoli, Milano 1986, nonché i lavori di P. Scoppola, La proposta politica di De Gasperi, Il Mulino, Bologna 1977; G. Merli, De Gasperi e il progetto di unità sindacale, in Annuario del Centro studi CISL, 1965-1966, pp. 290-304; M. Albertini, La fondazione dello Stato europeo, in Il Federalista, marzo 1977, pp. 15-31 dove è riportato l'intervento di De Gasperi ad una riunione del dicembre 1951 a Strasburgo sulla CED; S. Mattarella, La visione e il coraggio. Lectio degasperiana del Presidente della Repubblica (Pieve Tesino, 18 agosto 2016), Fondazione Trentina Alcide De Gasperi, Pieve Tesino (Trento), 2018, con in Appendice una antologia di sei scritti e discorsi di De Gasperi.

Alle prime ricostruzioni biografiche, tra le quali occorre ricordare, per quanto si chiuda con il 1945, il profilo redatto da E.A. Carrillo, Alcide De Gasperi. The long apprenticeship, University of Notre Dame Press, Indiana 1965, sono seguite le voci biografiche, corredate di ampia bibliografia cui si rimanda per ulteriori approfondimenti, di G. Campanini, De Gasperi, Alcide, in Dizionario Storico del Movimento Cattolico in Italia 1860-1980, vol. II, I protagonisti, Marietti, Casale Monferrato 1982, pp.157-168 e di P. Craveri, De Gasperi, Alcide, in Dizionario biografico degli italiani, vol. XXXVI, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1988, pp.79-114, di cui si veda anche De Gasperi, Il Mulino, Bologna 2006, e ancora la imponente opera in tre volumi, Alcide De Gasperi, con contributi di A. Canavero, P. Pombeni, G.B. Re, G. Vecchio, F. Malgeri e P.L. Ballini, edita dalla Fondazione Alcide De Gasperi di Roma e dalla casa editrice Rubbettino (Soveria Mannelli, 2009), A. Canavero, Alcide De Gasperi. Cristiano Democratico Europeo, Roma, Fondazione Alcide De Gasperi, Bruxelles, Gruppo PPE al Parlamento europeo, 2010; Il contributo di G. Tognon, Alcide De Gasperi, in AA.VV., I Presidenti della Repubblica. Il Capo dello Stato e il Quirinale nella storia della democrazia italiana, diretto da S. Cassese, G. Galasso e A. Melloni, 2 voll., Il Mulino, Bologna 2018.

Tra i volumi scritti da amici e collaboratori di De Gasperi: Adstans (P. Canali), La politica estera di Alcide De Gasperi, Mondadori, Milano 1953; G. Tupini, I democratici cristiani. Cronaca di dieci anni, Garzanti, Milano 1954; G. Spataro, I democratici cristiani dalla dittatura alla repubblica, Mondadori, Milano 1968; Idem, De Gasperi e il PPI, Cinque Lune, Roma 1971; G. Petrilli, La politica estera ed europea di De Gasperi, Cinque Lune, Roma 1975; G. Gonella, Con De Gasperi nella fondazione della DC (1930-1940), Cinque Lune, Roma 1978; G. Tupini, De Gasperi. Una testimonianza, Il Mulino, Bologna 1992; Idem, Alcide De Gasperi (1881-1954). Un popolare mitteleuropeo, Quattroventi, Urbino 1995; di taglio agiografico è I. Giordani, Alcide De Gasperi, il ricostruttore, Cinque Lune, Roma 1955.

 

Giovanni Bolignani, aprile 2019.

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IL PASSAGGIO DELLE FUNZIONI DI CAPO DELLO STATO DA UMBERTO II AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI ALCIDE DE GASPERI

Comunicato stampa della seduta del Consiglio dei Ministri svoltasi il 12 giugno 1946
Minuta della delibera adottata dal Consiglio dei ministri del primo Governo De Gasperi, nella notte tra il 12 e 13 giugno del 1946, per stabilire il passaggio delle funzioni di Capo dello Stato da Umberto II allo stesso De Gasperi.

La minuta fu redatta dal Prof. Mario Bracci, allora ministro per il commercio con l'estero, cui De Gasperi aveva affidato il compito di redigere un parere giuridico sulla situazione incerta che si era creata il 10 giugno dopo la pronuncia del risultato referendario da parte della Cassazione e, poi (il 12 giugno), di preparare (insieme con Pietro Nenni ed Enrico Molé) la bozza della delibera di trasferimento dei poteri.
(Archivio Mario Bracci. Dono del professor Rodolfo Bracci, Siena 12 agosto 2021)

Mario Bracci, Storia di una settimana (7-12 giugno 1946), "Il Ponte", fase. 7-8, luglio - agosto 1946

altre risorse

Archivio storico Luce

Archivio storico Luce

Edizione Nazionale Epistolario
di Alcide De Gasperi

Lettere Edite (1413)