Incontro del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi con gli esponenti della Accademia italiana della cucina
La ringrazio Presidente Dell'Osso per le sue parole e mi faccia piacere incontrarvi in tanti in questa storica sala dei Corazzieri.
Lei ci ha parlato del culto della tavola. Mi ha gentilmente fatto omaggio di questa pubblicazione che avete realizzato quest'anno. E' un culto della tavola, culto del cibo che si nutre delle tradizioni italiane locali.
Della cultura della tavola voi avete fatto uno strumento di comunicazione e di diffusione dell'italianità nel mondo.
Un mio collaboratore ha paragonato la vostra azione e quello che significa la cucina italiana alla lingua italiana. Facendo alcune equiparazioni: dove i "vocaboli" sono gli ingredienti; la "grammatica" le ricette; la "sintassi" i menù, i loro contenuti e il loro ordine. Vi è anche poi una parte che possiamo definire come si diceva una volta "retorica" nel senso migliore della parola, che sono i comportamenti conviviali.
A questo permettetemi di aggiungere alcuni ricordi della mia infanzia, quando il pranzo e la cena in famiglia scandivano le nostre giornate. Non dico che era obbligatorio, ma doveroso e sentito come tale da parte dei genitori e dei figli di trovarsi a quell'ora insieme a pranzo e a cena. Ed era il momento in cui la famiglia viveva più unita.
Ricordo ancora come c'era una sorta di cadenza nei cibi che scandivano una sorta di ciclo settimanale, era ormai una prassi che il tal giorno a mezzogiorno la minestra, la pastasciutta, o il minestrone di verdure fosse preparato in quei determinati giorni, che ci fosse il giorno del pesce o forse più economicamente del baccalà, il giorno della trippa, il giorno del fegato. Quindi si scandivano proprio i vari giorni della settimana. E questa secondo me era sicuramente una grande forza, la tavola che univa la famiglia. E che univa la famiglia più grande, cioè intorno ai nonni, si univano intere famiglie per le grandi festività, come per il Natale, il Capodanno, l'Epifania e la Pasqua.
Ed erano pranzi che avevano già una sorta di menu scaturiti ogni volta dalla inventiva di ognuno dei componenti della famiglia che organizzava quel Natale, o quella Pasqua, che si distingueva per l'aggiunta da parte dei familiari di una portata particolare, di una specialità, che era caratterizzata da un proprio stile. Erano questi pranzi che duravano dalle due alle tre ore, e costituiva senza dubbio il momento nel quale la famiglia al completo si univa e si respirava questa grande forza dello stare insieme a tavola.
Vi erano inoltre alcuni riti minori che venivano osservati a tavola, come quello del vino che ricordo veniva servito non in bottiglia ma in un fiasco di vetro verde, impagliato, perlomeno nella mia terra di Toscana, che dopo l'apertura si assorbiva completamente lo strato di olio che vi era in superficie con la stoppa e poi si sbocca per eliminare le ultime bollicine di olio, che avrebbero altrimenti adulterato la qualità del vino.
Ricordo di un mio zio che amava particolarmente la tavola e aveva coniato questo detto "a tavola non si invecchia". Ebbe poi la ventura di sposarsi con una bergamasca, tuttora vivente, che - avendo superato i novant'anni è ancora attiva e valida anche nel campo del volontariato, nonostante gli anni - che cercò di modificare quel detto in una esortazione sbrigativa "a tavola non si invecchi". Ma quell'esortazione non attecchì Personalmente per premunirmi mi sono sposato con una emiliana . E non ho corso questi rischi .
Tornando a voi, a quello che fate e trovo che voi svolgete un'attività che va al di là di quello che può apparire dalla stessa denominazione della vostra Associazione, perché sicuramente vi dedicate a un'attività di diffusione della italianità nel mondo. E la italianità significa soprattutto della umanità italiana. Che senz'altro nella tavola trova tuttora, nonostante che i tempi siano cambiati, un momento di particolare valore che noi avvertiamo forse più di tanti altri paesi.
Vi rinnovo il ringraziamento per quanto è stato gentilmente detto dal vostro Presidente Dell'Osso e vi formulo gli auguri, qualunque sia poi la vostra singola professione, per la vostra attività ma anche e soprattutto per questa opera che svolgete tutti insieme.
leggi tutto
Lei ci ha parlato del culto della tavola. Mi ha gentilmente fatto omaggio di questa pubblicazione che avete realizzato quest'anno. E' un culto della tavola, culto del cibo che si nutre delle tradizioni italiane locali.
Della cultura della tavola voi avete fatto uno strumento di comunicazione e di diffusione dell'italianità nel mondo.
Un mio collaboratore ha paragonato la vostra azione e quello che significa la cucina italiana alla lingua italiana. Facendo alcune equiparazioni: dove i "vocaboli" sono gli ingredienti; la "grammatica" le ricette; la "sintassi" i menù, i loro contenuti e il loro ordine. Vi è anche poi una parte che possiamo definire come si diceva una volta "retorica" nel senso migliore della parola, che sono i comportamenti conviviali.
A questo permettetemi di aggiungere alcuni ricordi della mia infanzia, quando il pranzo e la cena in famiglia scandivano le nostre giornate. Non dico che era obbligatorio, ma doveroso e sentito come tale da parte dei genitori e dei figli di trovarsi a quell'ora insieme a pranzo e a cena. Ed era il momento in cui la famiglia viveva più unita.
Ricordo ancora come c'era una sorta di cadenza nei cibi che scandivano una sorta di ciclo settimanale, era ormai una prassi che il tal giorno a mezzogiorno la minestra, la pastasciutta, o il minestrone di verdure fosse preparato in quei determinati giorni, che ci fosse il giorno del pesce o forse più economicamente del baccalà, il giorno della trippa, il giorno del fegato. Quindi si scandivano proprio i vari giorni della settimana. E questa secondo me era sicuramente una grande forza, la tavola che univa la famiglia. E che univa la famiglia più grande, cioè intorno ai nonni, si univano intere famiglie per le grandi festività, come per il Natale, il Capodanno, l'Epifania e la Pasqua.
Ed erano pranzi che avevano già una sorta di menu scaturiti ogni volta dalla inventiva di ognuno dei componenti della famiglia che organizzava quel Natale, o quella Pasqua, che si distingueva per l'aggiunta da parte dei familiari di una portata particolare, di una specialità, che era caratterizzata da un proprio stile. Erano questi pranzi che duravano dalle due alle tre ore, e costituiva senza dubbio il momento nel quale la famiglia al completo si univa e si respirava questa grande forza dello stare insieme a tavola.
Vi erano inoltre alcuni riti minori che venivano osservati a tavola, come quello del vino che ricordo veniva servito non in bottiglia ma in un fiasco di vetro verde, impagliato, perlomeno nella mia terra di Toscana, che dopo l'apertura si assorbiva completamente lo strato di olio che vi era in superficie con la stoppa e poi si sbocca per eliminare le ultime bollicine di olio, che avrebbero altrimenti adulterato la qualità del vino.
Ricordo di un mio zio che amava particolarmente la tavola e aveva coniato questo detto "a tavola non si invecchia". Ebbe poi la ventura di sposarsi con una bergamasca, tuttora vivente, che - avendo superato i novant'anni è ancora attiva e valida anche nel campo del volontariato, nonostante gli anni - che cercò di modificare quel detto in una esortazione sbrigativa "a tavola non si invecchi". Ma quell'esortazione non attecchì Personalmente per premunirmi mi sono sposato con una emiliana . E non ho corso questi rischi .
Tornando a voi, a quello che fate e trovo che voi svolgete un'attività che va al di là di quello che può apparire dalla stessa denominazione della vostra Associazione, perché sicuramente vi dedicate a un'attività di diffusione della italianità nel mondo. E la italianità significa soprattutto della umanità italiana. Che senz'altro nella tavola trova tuttora, nonostante che i tempi siano cambiati, un momento di particolare valore che noi avvertiamo forse più di tanti altri paesi.
Vi rinnovo il ringraziamento per quanto è stato gentilmente detto dal vostro Presidente Dell'Osso e vi formulo gli auguri, qualunque sia poi la vostra singola professione, per la vostra attività ma anche e soprattutto per questa opera che svolgete tutti insieme.