Intervento del Presidente della Repubblica in occasione della consegna delle "Stelle al Merito" ai nuovi Maestri del Lavoro del Lazio e dell'Umbria
Cari Maestri del Lavoro,
premiare ogni "primo maggio" chi ha meritato questa decorazione della Repubblica ci spinge a riflettere sul valore etico del lavoro.
Ancora una volta, il pensiero va con riconoscenza ai Padri Costituenti che, dopo il 2 giugno del 1946, vollero rinnovare le basi dell'identità nazionale ponendo il lavoro a fondamento della nostra Repubblica.
Il lavoro come criterio ispiratore della vita di una società civile significa poggiare i piedi sui principî della libertà e della solidarietà sociale.
Questo è il modello europeo dell'economia sociale di mercato, alla base sia del successo dell'economia italiana nel dopoguerra, sia del miracolo di un'Europa che unisce nazioni e cittadini in un destino e una missione comuni.
Se volgiamo lo sguardo al nostro passato, furono proprio le associazioni dei "Maestri del lavoro", di arti e mestieri, all'origine dell'epoca gloriosa dei Comuni.
Il tessuto della "res publica" si è sviluppato nella nostra Patria in secoli di continuità di tradizioni legate al lavoro, alla conoscenza, all'inventiva, all'innovazione di tecnologie e di prodotti, al desiderio di vivere queste tradizioni in comunità, di trasmetterle da padre in figlio, dal maestro all'allievo. Così nacquero le nostre "botteghe" d'arte, le nostre confraternite, che furono le culle del Rinascimento.
La moderna società costruita attorno alla conoscenza, al sapere ha ridato attualità proprio a queste tradizioni antiche.
E non è un caso che la nuova economia, dopo alcuni eccessi, si stia rivelando un alleato prezioso della riscoperta di prodotti tipici, di tecniche artistiche e artigianali che si pensavano superate.
Il tessuto di media e piccola impresa che ci caratterizza e che deriva dall'artigianato e dal commercio si sta sviluppando di nuovo anche nel Mezzogiorno.
La società e l'economia del Mezzogiorno si stanno muovendo. Hanno ripreso a crescere perché hanno ricominciato a credere in sé.
La sfida del nuovo secolo, per l'Italia, come per tutti i paesi europei è quella della competitività. Di fronte all'avanzamento della costruzione europea, la competitività assume una dimensione diversa, avvicina le condizioni base dei Paesi che ne fanno parte.
Il primo grande segno materiale di questo processo di avvicinamento è l'euro. La distribuzione, tra soli sette mesi, delle nuove banconote e delle nuove monete ci darà la sensazione anche fisica dell'abbattimento delle frontiere.
Superato il disagio del "nuovo" la pratica della moneta unica, fra 320 milioni di cittadini europei, darà un forte slancio ai modi e ai tempi della costruzione europea.
Abbiamo, e viviamo, istituzioni comuni dell'Unione Europea. La "Carta dei diritti" stabilisce i principi e i valori di libertà per gli tutti individui e per le comunità nazionali che costituiscono l'Unione. Di questa costruzione, punto di svolta nella storia d'Europa, l'Italia è stata protagonista e intende continuare ad esserlo.
La competitività è sintesi di un insieme articolato di fattori che coinvolgono anche, quale componente determinante, l'efficienza del settore pubblico.
Tra essi un ruolo centrale è giocato dalla formazione e dall'investimento in ricerca scientifica.
Quando nel 1995 fui chiamato a presiedere il comitato per la competitività istituito dalla Commissione di Bruxelles, emerse chiaramente dal lavoro comune di personalità rappresentative dell'economia e della società civile europea come alla società dell'informazione dovesse corrispondere la società dell'apprendimento, della formazione.
Sulla base di quell'esperienza ripeto oggi: non c'è più, com'era in passato, un tempo per studiare e un tempo per lavorare. Oggi il bagaglio culturale del lavoratore e il suo continuo aggiornamento sono la migliore garanzia per aver sempre un sicuro posto di lavoro.
L'investimento nell'aggiornamento delle proprie conoscenze diventa la base di un'occupazione continua in un sistema nel quale la validità dei cicli produttivi, per quanto attiene sia le caratteristiche dei prodotti sia i modi di produrre, si abbrevia sempre di più.
Su questo tema della formazione dobbiamo insistere. Una società che fa questa scelta in modo strategico diventa una società migliore, tanto migliore quanto più genitori e figli studiano insieme, quanto più la famiglia ritorna ad essere luogo di scambio della conoscenza, di esperienze, di stimoli, di valori.
Alla società della formazione deve corrispondere anche la scelta dell'innovazione, che è il terzo elemento del trinomio: informatica, formazione, innovazione.
E qui in particolare il settore pubblico deve dare indirizzi ed esempi, creando centri di ricerca che aggreghino le iniziative, evitino la polverizzazione, fungano da catalizzatori.
Pubblico e privato possono e debbono cooperare di più, in un coordinamento sempre più intenso e creativo, sviluppando la collaborazione tra imprese e istituti di studi nello stesso orientamento professionale dei giovani, promovendo e sostenendo la ricerca in settori dove l'Italia può raggiungere livelli di eccellenza, ottenere risultati importanti, produrre brevetti.
Cari Maestri del Lavoro,
sono felice di consegnarvi oggi questo riconoscimento della Repubblica Italiana. A partire dall'anno prossimo questa cerimonia, finora limitata al Lazio e all'Umbria, coinvolgerà una rappresentanza di lavoratori provenienti da tutte le regioni d'Italia.
Ho firmato con piacere anche le "Stelle al merito" per 50 italiani che lavorano da anni all'estero, molti in Europa, ma tanti anche in paesi lontani geograficamente, dal Paraguay al Congo. A loro va un saluto speciale, il saluto della Patria che essi onorano ogni giorno con il loro lavoro, con il loro impegno. Non li dimentichiamo.
A tutti un buon primo maggio.