Il Portale storico della Presidenza della Repubblica

Pubblicato il 2 giugno 2018, il Portale storico della Presidenza della Repubblica rende progressivamente disponibile il patrimonio conservato dall'Archivio storico.
Archivi, documenti, fotografie, dati, percorsi tematici e risorse digitali trasmettono la memoria dei Capi dello Stato dell'Italia repubblicana; testimoniano in modo straordinariamente capillare le attività, gli interventi e i discorsi dei Presidenti della Repubblica nello svolgimento delle funzioni che la Costituzione assegna loro; testimoniano le attività dell'Amministrazione e dei suoi protagonisti, che operano a supporto della figura presidenziale; rappresentano il Paese che ne costituisce lo sfondo; raccontano le vicende del Palazzo del Quirinale, ieri palazzo dei papi e dei re, oggi sede della massima carica dello Stato repubblicano.

I numeri del Portale: 70.780 eventi, tra udienze, impegni pubblici e privati dei Presidenti; 1.729 visite in Italia e 570 viaggi all'estero; 16.269 pagine di diario digitalizzate; 440.016 immagini; 25.111 immagini che documentano la storia d'Italia dalla Monarchia alla Repubblica; 10.445 audiovisivi; 16.918 complessi archivistici; 6.865 discorsi e interventi; 5.325 atti firmati; 55.759 Provvedimenti di grazia; 542 comunicati della Presidenza del Consiglio dei Ministri dal 1945 al 1950;11.835 comunicati delle presidenze Ciampi e Napolitano; 168.952 comunicati di cui 28.360 indicizzati dalle presidenze Gronchi a Scalfaro; oltre 500 volumi in Materiali e pubblicazioni per un totale di 50.000 pagine in formato digitale; 75 soggetti produttori e 516 strutture organizzative; 131 biografie di consiglieri e consulenti; 1.665.718 triple caricate sull'Endpoint (aggiornamento del 28 giugno 2024)

 

lunedì
10 dicembre 2007

Testo dell'articolo dal titolo "Torino, le morti più atroci" pubblicato su "La Stampa" il 10 dicembre 2007


TESTO DELL'ARTICOLO DAL TITOLO
"TORINO, LE MORTI PIU' ATROCI"
 PUBBLICATO SU "LA STAMPA" IL 10 DICEMBRE 2007



Dopo la tragedia nelle acciaierie ThyssenKrupp, il Presidente della Repubblica torna - in un colloquio con La Stampa - ad affrontare il problema delle sciagure sul lavoro. "A Torino è accaduto qualcosa di atroce - sottolinea Napolitano -, quella delle morti sul lavoro è una questione nazionale di grande drammaticità. E' indispensabile aumentare i controlli nelle fabbriche e occorre che ciascuno si assuma le sue responsabilità. A cominciare dalle imprese, che devono dar conto dei propri comportamenti ma, specialmente, essere pronte a raccogliere, prima che sia troppo tardi, gli allarmi e le segnalazioni che vengono dai sindacati e dagli stessi lavoratori". Una domenica che ti stringe il cuore, con la pioggia che cade fitta e leggera, il cielo buio che sembra già sera e qualcuno, premuroso, che ripara col suo ombrello Giorgio Napolitano. Sono da poco passate le undici del mattino e il capo dello Stato sta lasciando la piccola Sala del Carroccio, in Campidoglio, dov'è la salma di Pietro Amendola, fratello di Giorgio, amico e compagno di tante battaglie. Il Presidente saluta Emanuele Macaluso, Giuliano Vassalli e le altre personalità venute a dire addio a questo "combattente coraggioso nella guerra di Liberazione - sono parole di Napolitano - ma anche coerente assertore dei valori di libertà, di giustizia e di democrazia". Strette di mano, ricordi lontani accennati a mezza voce, le insegne di Grande Ufficiale della Repubblica ben in vista sulla bara di Pietro. Ora, lasciata la Sala del Carroccio, il capo dello Stato è circondato da una piccola folla di turisti e cittadini infreddoliti che lo applaudono e lo salutano. Giorgio Napolitano vola stamane verso gli Stati Uniti per incontrare George W.Bush e Nancy Pelosi. Un viaggio importante e atteso. E se forse ha un cruccio, è non poter essere vicino alla città di Torino in uno dei suoi giorni più tristi, quello di oggi, con la veglia col cardinal Poletto e il lutto cittadino in memoria dei quattro operai uccisi dalle fiamme nell'acciaieria ThyssenKrupp. Passeggiando lentamente lungo uno dei vialetti del colle del Campidoglio, il Presidente dice: "A Torino è accaduto qualcosa di atroce... Sento fortissima la pena di dover tornare a esprimere sentimenti di lutto e indignazione". Si interrompe, poi spiega: "Quella delle morti sul lavoro è una questione nazionale di grande drammaticità e peso umano e sociale su cui sono intervenuto sin dall'inizio del mio mandato. Ora, sento il dovere di ritornare su considerazioni e appelli che rimangono, purtroppo, di dolorante attualità". Novecentottantaquattro morti sul lavoro dall'inizio dell'anno. Di questi, oltre un centinaio a Torino. Nel 2006 furono 1302: una strage che continua e che nulla sembra poter arrestare. Appelli, allarmi, leggi nuove e più severe: tutto appare inutile. Dalle prime pagine dei quotidiani, Romano Prodi accusa: "In molti casi c'è la responsabilità diretta delle imprese". Il capo dello Stato non commenta, ma per un attimo la sua voce sembra farsi dura: "Occorre che ciascuno si assuma le sue responsabilità - dice -. A cominciare dalle imprese, ognuna delle quali - quando si verifichi un incidente sul lavoro mortale o comunque grave - deve dar conto dei propri comportamenti dinanzi alla magistratura e a tutti i poteri interessati". Non solo. "C'è da dire con particolare forza - aggiunge il Presidente - che tutte le imprese devono essere pronte a raccogliere, prima che sia troppo tardi, gli allarmi e le segnalazioni che vengono dai sindacati e dagli stessi lavoratori". Già, prima che sia troppo tardi. Perché reprimere, sanzionare e punire, a tragedia avvenuta, è certamente indispensabile. Ma quanto meglio sarebbe prevenire ed evitare... E' proprio questo, il più delle volte, a determinare un senso di vero e proprio sgomento: il trovarsi di fronte a "tragedie annunciate", ad allarmi e denunce puntualmente - e colpevolmente - ignorati. Quasi che le morti sul lavoro fossero un prezzo obbligato da pagare sull'altare della crescita e dello sviluppo. Da pagare ovunque: e a maggior ragione, allora, in città come Torino, ad antica e riconsolidata tradizione operaia. E' una logica che il capo dello Stato rigetta in toto: "Negli ultimi tempi sono state introdotte misure di rafforzamento delle normative e dei controlli volti a prevenire e sanzionare incidenti così numerosi e gravi - dice Giorgio Napolitano -. E se può darsi che occorra - su ciò governo e Parlamento devono fare chiarezza - modificare ulteriormente le leggi che intervengono su tale scottante materia, è assolutamente certo che siano necessari sforzi maggiori per imporre e verificare il rispetto dei vincoli di legge già vigenti". Una società che voglia dirsi civile, insomma, non può adattarsi ad uno sviluppo che postuli, come "danno collaterale", centinaia o migliaia di morti sul lavoro all'anno. Una società che voglia dirsi civile si rimbocca le maniche per ridurre ed arginare questo drammatico fenomeno: e la società, sembra dire il capo dello Stato, siamo tutti noi. "Debbono far meglio la loro parte le stesse rappresentanze dei lavoratori - sollecita Napolitano -. E oltre che dalle forze politiche, sociali e culturali, anche dai mezzi di informazione deve venire l'impulso necessario all'affermazione di una rinnovata cultura del lavoro, del suo ruolo, della sua dignità, della sua tutela". La pioggia si fa più fitta, il cielo più buio. Giorgio Napolitano sale in auto e lascia il Campidoglio. Il dolore per la morte di Pietro Amendola, il turbamento per la strage della ThyssenKrupp... Il volto del Presidente è scuro, l'umore - forse - ancor di più. "Tutte le morti sul lavoro sono una tragedia - sussurra il Presidente -. Ma con quelle di Torino, stavolta - per il modo in cui tanti giovani operai hanno perso la vita - siamo di fronte a qualcosa che va oltre, a qualcosa di atroce...".


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