Il Portale storico della Presidenza della Repubblica

Pubblicato il 2 giugno 2018, il Portale storico della Presidenza della Repubblica rende progressivamente disponibile il patrimonio conservato dall'Archivio storico.
Archivi, documenti, fotografie, dati, percorsi tematici e risorse digitali trasmettono la memoria dei Capi dello Stato dell'Italia repubblicana; testimoniano in modo straordinariamente capillare le attività, gli interventi e i discorsi dei Presidenti della Repubblica nello svolgimento delle funzioni che la Costituzione assegna loro; testimoniano le attività dell'Amministrazione e dei suoi protagonisti, che operano a supporto della figura presidenziale; rappresentano il Paese che ne costituisce lo sfondo; raccontano le vicende del Palazzo del Quirinale, ieri palazzo dei papi e dei re, oggi sede della massima carica dello Stato repubblicano.

I numeri del Portale: 70.780 eventi, tra udienze, impegni pubblici e privati dei Presidenti; 1.729 visite in Italia e 570 viaggi all'estero; 16.269 pagine di diario digitalizzate; 440.016 immagini; 25.111 immagini che documentano la storia d'Italia dalla Monarchia alla Repubblica; 10.445 audiovisivi; 16.918 complessi archivistici; 6.865 discorsi e interventi; 5.325 atti firmati; 55.759 Provvedimenti di grazia; 542 comunicati della Presidenza del Consiglio dei Ministri dal 1945 al 1950;11.835 comunicati delle presidenze Ciampi e Napolitano; 168.952 comunicati di cui 28.360 indicizzati dalle presidenze Gronchi a Scalfaro; oltre 500 volumi in Materiali e pubblicazioni per un totale di 50.000 pagine in formato digitale; 75 soggetti produttori e 516 strutture organizzative; 131 biografie di consiglieri e consulenti; 1.665.718 triple caricate sull'Endpoint (aggiornamento del 29 novembre 2024)

 

sabato
01 marzo 2008

Testo dell'articolo del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, scritto nell'ottobre 1998 per la rivista "Europa Europe" e pubblicato su "Amministrazione civile" (gennaio-febbraio 2008)


TESTO DELL'ARTICOLO DEL Presidente DELLA REPUBBLICA
 GIORGIO NAPOLITANO
SCRITTO DELL'OTTOBRE 1998 PER LA RIVISTA "EUROPA EUROPE"
E PUBBLICATO SU "AMMINISTRAZIONE CIVILE" (GENNAIO-FEBBRAIO2008)



"Le politiche di sicurezza interna"

Nell'ottobre 1998, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, allora Ministro dell'Interno, scrisse questo articolo per la rivista "Europa Europe" della Fondazione Istituto Gramsci. A distanza di dieci anni, il Presidente ne ha autorizzato la ripubblicazione su Amministrazione Civile, nella convinzione dell'attualità del messaggio in esso contenuto. Il problema del bisogno di sicurezza evidenziato nell'articolo è rimasto sul tappeto e l'approccio già allora prospettato dal Capo dello Stato, specialmente sui temi della criminalità interna, costituisce ancora oggi una risposta moderna ed efficace alle esigenze dei cittadini.


"Con la decisione che ha segnato, all'inizio di maggio, la nascita dell'Euro si è conclusa nella vita dell'Unione europea una fase dominata dal confronto sui temi della politica monetaria e finanziaria. La posta in gioco era di certo molto alta.
Se si fosse fallito l'obiettivo della moneta unica, se si fosse messo in forse il passaggio alla terza fase dell'Unione economica e monetaria, ne sarebbe stato colpito l'intero processo di approfondimento della costruzione europea disegnato a Maastricht. Conseguenze gravi avrebbe potuto avere anche il ripiegare su un rinvio oltre la data del 1 gennaio 1999 da tempo annunciata e assunta come traguardo. E non lievi sarebbero state le implicazioni e le incognite di una nascita dell'Euro in una cerchia ristretta di paesi membri dell'Unione. Tutto ciò spiega a sufficienza il concentrarsi per più di un anno dell'attenzione e dell'impegno su quell'obiettivo, su quel traguardo.
Ma quella fase si è conclusa. Non si può indugiare a lungo nel pur fondato compiacimento per un successo che ha comportato duri sforzi di convergenza da parte di undici paesi, nella valorizzazione del significato, della portata, delle potenzialità di una creazione sovranazionale europea in campo monetario. L'accento deve ovviamente spostarsi su tutti gli sviluppi da dare alla grande scelta che è stata compiuta, non solo perché Banca centrale europea e moneta unica poggino fin dall'inizio su basi solide, ma perché a quella decisione ne conseguano altre, sul piano politico e istituzionale, a cominciare dalla definizione di un quadro di riferimento democratico per gli indirizzi della nuova, e indipendente, Banca centrale, per la nascita di organi e poteri di governo dell'economia in seno all'Unione. Ma occorre anche, al di là di ciò, tornare a una visione più complessiva e più ricca del processo di integrazione e unificazione europea, e ridare in un'agenda seriamente aggiornata il posto giusto a problematiche e a direttrici di sviluppo rimaste in ombra fino a che i riflettori sono stati puntati sul tema della moneta unica e sul rispetto dei relativi "parametri di Maastricht". Tra queste problematiche, richiedono certo una rinnovata e accresciuta considerazione quelle della sicurezza interna.
Fin dall'inizio dell'attività preparatoria della Conferenza intergovernativa, poi tenutasi nel giugno 1997, il "gruppo di riflessione" aveva individuato il bisogno di sicurezza accanto al bisogno di lavoro come le due esigenze maggiormente avvertite e diffuse tra i cittadini dell'Unione europea.
Ebbene, occorre ancora ripartire da quella valutazione, che ha d'altronde trovato conferma in valutazioni politiche, ricorrenti nei paesi dell'Unione e sorrette anche da sondaggi di opinione. Naturalmente si può e si deve distinguere tra la percezione di insicurezza, e la conseguente domanda di sicurezza, che i cittadini esprimono, e la consistenza obiettiva dei problemi di sicurezza che si presentano nei singoli paesi e su scala europea e che occorre affrontare con adeguate politiche nazionali e politiche comuni. Queste politiche vanno fondate su verifiche e analisi accurate dei diversi fenomeni riconducibili a problemi di sicurezza interna, non possono essere determinate da rappresentazioni esasperate e semplificate di quei fenomeni e da ondate emotive. Ma il diffondersi tra i cittadini di una percezione d'insicurezza costituisce di per sé un non trascurabile problema politico, e induce a considerare con grande attenzione tutti i dati obiettivi, tutte le situazioni concrete, senza indulgere a insostenibili minimizzazioni.
Quel che incide sulla vita quotidiana è la "microcriminalità". Con questa espressione, che suscita peraltro non lievi equivoci, si intende una somma di offese, o di attentati, alle persone e ai loro beni, a un'ordinata e pacifica convivenza civile, che possono classificarsi nell'ambito della criminalità comune, distinta dalla criminalità organizzata.
Si tratta di reati fino a un certo grado minori ("micro"), dal punto di vista della gravità delle pene, che però costituiscono una minaccia comprensibilmente avvertita come grave dai cittadini e dalla collettività. Questo tipo di criminalità -dai furti e dagli "scippi" allo smercio di droga e alla prostituzione di strada, con frequente accompagnamento di violenze e grave turbamento della tranquillità pubblica - si può porre maggiormente in relazione con fenomeni di malessere sociale e di disagio giovanile da una parte, e con fenomeni connessi alla presenza di stranieri immigrati dall'altra.
Vi si deve rispondere con politiche di sicurezza urbana, non affidate esclusivamente alle forze di polizia ma basate su una pluralità di approcci e di apporti, su un intenso coinvolgimento delle amministrazioni locali e di ogni forma di rappresentanza dei cittadini: politiche volte a contrastare il degrado dei quartieri più difficili, elevandone il livello di vita civile e culturale, a prevenire e riassorbire patologie criminali o criminogene. Ciò non significa ignorare l'importanza di politiche nazionali che affrontino le maggiori questioni dello sviluppo economico e sociale, visto nei suoi limiti e nei suoi squilibri: ma non si può nemmeno rinviare a queste politiche la soluzione dei problemi della sicurezza pubblica, rinunciando a più specifici interventi capaci di migliorare le condizioni della convivenza quotidiana nelle aree urbane. E si deve intervenire - dovunque sia questo il dato emergente - con serie scelte di integrazione degli stranieri legalmente residenti e di netto contrasto nei confronti del radicarsi di un'immigrazione clandestina che alimenti tensioni e vere e proprie attività criminali.
Se la percezione di insicurezza, quale si traduce anche in protesta di comunità locali, è spesso più acuta di quanto possano motivarla i dati obiettivi ed è influenzata da speculazioni politiche, ciò si verifica soprattutto nel rapporto col fenomeno della presenza di stranieri immigrati. Si tende con una certa facilità ad attribuire soprattutto a quest'ultima - anche per un'istintiva, non dichiarata reazione di diffidenza e di rigetto nei confronti del razzialmente diverso - il crescere della criminalità nell'area in cui si vive, fino a giungere a sommarie, arbitrarie e davvero fuorviami identificazioni. Ma ciò richiede risposte politiche non ambigue su entrambi i versanti: apertura, tolleranza nel senso alto del termine, pieno riconoscimento di diritti e di possibilità di integrazione nei confronti dell'immigrato che contribuisce alla crescita del paese in cui si viene inserendo rispettandone le leggi, e fermezza, intransigenza nel combattere l'intreccio clandestinità-criminalità.
Ho voluto partire da questioni di "micro-criminalità", di criminalità comune, che sollecitano soprattutto politiche di sicurezza urbana e che sono ben presenti all'attenzione dei governi europei, in special modo in quelli di centro-sinistra e di sinistra, certamente sensibili all'impatto elettorale e di opinione di quelle questioni, non a caso agitate e sfruttate da forze di destra. Ma i governi europei nel loro insieme e gli organismi rappresentativi dell'Unione sono soprattutto impegnati sui temi della lotta contro la criminalità organizzata. D'altronde, non solo la portata di questi temi è straordinariamente più ampia, ma risulta spesso difficile segnare un confine tra le une e le altre manifestazioni criminali, escludere la presenza di vere e proprie organizzazioni criminali anche in fenomeni di criminalità minore e "comune": questa difficoltà è evidente in alcune regioni del Mezzogiorno d'Italia storicamente caratterizzate dall'insedia-mento della mafia e di altre associazioni di stampo mafioso, i cui traffici e la cui influenza si intrecciano col diffondersi di attività criminali "spicciole".
L'impegno si concentra dunque - come mai prima in Europa - sul crimine organizzato. Non c'è paese che possa considerarsene immune. Le dimensioni inedite e la vistosa crescita di questa minaccia si sono negli ultimi anni imposte alla preoccupazione dell'Unione europea come dell'intera comunità internazionale. Non c'è bisogno di ricordare come quella crescita si collochi nel quadro del tutto nuovo determinato da una serie di cambiamenti concomitanti, per diversa che ne sia la natura: cambiamenti politici e cambiamenti tecnologici, radicali mutamenti di sistema e difficili transizioni nell'area del dissol-tosi blocco sovietico, processi di liberalizzazione delle economie e del commercio mondiale e di rapida globalizzazione dei mercati finanziari, decisioni di ulteriore approfondimento e di sia pur graduale allargamento dell'integrazione europea. E non c'è neppure bisogno di sottolineare la portata positiva, sul piano dei principi democratici e dei valori di libertà, e le potenzialità di ulteriore e più diffuso progresso economico e sociale di questi cambiamenti.
Ma qui ci interessa mettere l'accento sugli impulsi che in quel quadro si sono nello stesso tempo prodotti per un'espansione dei fenomeni di criminalità organizzata (basti pensare alle nuove mafie dell'Est) e per una crescente internazionalizzazione e sofisticazione dei traffici criminali. Si tratta - come ha ben detto il Ministro francese della Giustizia Elisabeth Guigou in una recente riunione del Consiglio dei ministri degli Interni e di Giustizia dell'Unione europea -della "parte nera dello sviluppo delle relazioni internazionali: la mondializzazione degli scambi economici, la mobilità delle persone e dei beni, l'apertura delle frontiere nazionali rappresentano altrettanti vettori per la criminalità organizzata". E a conclusione del primo incontro dei ministri degli Interni e di Giustizia "degli 8" svoltosi a Washington nel dicembre 1997, si è richiamata l'attenzione in particolare sulle opportunità di comunicazione globale senza precedenti offerte dalle nuove tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni e sul ricorso da parte delle organizzazioni criminali a queste tecnologie, fino a configurare nuove fattispecie di "crimine ad alta tecnologia".
Si impone di conseguenza una cooperazione internazionale anch'essa senza precedenti. Attraverso col legamenti che non conoscono frontiere, collaborazioni e saldature tra vecchie e nuove formazioni criminali, possono svilupparsi con sempre maggiore efficacia e pericolosità vecchi e nuovi traffici: da quelli della droga, delle armi, dei materiali nucleari, delle sostanze tossiche, al cosiddetto high-tech crime e al traffico di esseri umani, e possono riciclarsi e reinvestirsi proventi illeciti, danaro sporco, cosi da penetrare nello stesso tessuto legale delle attività economiche e finanziarie. Sono in gioco la sicurezza degli Stati e la sicurezza delle economie, la sicurezza delle istituzioni democratiche e la sicurezza dei cittadini.
Questo nuovo scenario muta i termini della lotta contro la criminalità organizzata anche per paesi come l'Italia, che hanno conosciuto nel loro sviluppo storico la presenza radicata e pervasiva nella realtà sociale e sul territorio di intere regioni della mafia, della 'ndrangheta, della camorra. Queste organizzazioni sono state negli ultimi anni duramente colpite dalle forze dello Stato, ma hanno conservato una notevole capacità di pressione nell'esercizio di loro attività tradizionali: innanzitutto l'estorsione su larga scala nei confronti di soggetti imprenditoriali e commerciali, l'intimidazione brutale a scopo di condizionamento dei nuovi investimenti privati e di inquinamento degli appalti pubblici. E nello stesso tempo esse possono trovare oggi nuovi sostegni e nuove fonti di profitto e di crescita attraverso i collegamenti sovranazionali e gli affinamenti tecnologici che si sono venuti profilando.
Ma dovunque, sia nei paesi che hanno in fasi precedenti vissuto esperienze di lotta contro la criminalità organizzata sia in quelli che ne sono stati più lontani, si deve acquisire concreta consapevolezza, da parte delle forze democratiche, della necessità di portarsi al livello di una sfida che si può definire perfino come sfida tra le rispettive capacità di internazionalizzazione e di sofisticazione tecnologica, da un lato dei traffici e delle minacce del crimine organizzato, e dall'altro lato degli interventi di contrasto degli Stati democratici. Una sfida che si misura anche sui tempi e che richiede perciò una seria accelerazione delle iniziative e delle decisioni necessarie. La sinistra, e segnatamente le forze socialiste che governano (in posizione determinante se non da sole) in un così gran numero di paesi dell'Unione, hanno fornito e forniscono un contributo essenziale a questo sforzo per un vero e proprio salto di qualità sul piano delle politiche di sicurezza interna; e ciò avviene in sostanziale sintonia.
Politiche nazionali da rivedere e da adeguare; processi di avvicinamento e armonizzazione tra le legislazioni nazionali e le prassi conseguenti; forme di cooperazione sempre più impegnativa; politiche comuni cui giungere in alcuni campi attraverso la definizione, innanzitutto, di elementi di base (indirizzi e criteri d'azione) comuni. Le politiche e le legislazioni nazionali sia in materia di lotta alla criminalità, di contrasto di molteplici traffici criminali, sia in materia di immigrazione, di asilo, di protezione umanitaria, sono tuttora notevolmente differenziate: ma un processo di avvicinamento è, per importanti aspetti, già in atto. Da parte italiana si è potuto dare un rilevante apporto specifico partendo da un pesante retaggio storico di presenze criminali organizzate e da un cospicuo patrimonio recente di elaborazioni normative finalizzate a una specifica, forte, efficace azione di contrasto. Si è così giunti, in particolare, all'adozione da parte del Consiglio dell'Unione (con la riunione di fine maggio dei ministri degli Interni e di Giustizia) di un progetto di "azione comune" comprendente per la prima volta una comune definizione di "organizzazione criminale" e il principio della punibilità della partecipazione a un'orga-nizzazione criminale.
C'è ovviamente ancora molta strada da fare per realizzare una sempre più concreta "armonizzazione" tra approcci giuridici e impianti normativi nazionali. Ma nello stesso tempo si possono realizzare e già si stanno realizzando progressi importanti attraverso gli strumenti della cooperazione di polizia e della cooperazione giudiziaria: per quel che riguarda la prima, che già si trova in uno stadio più avanzato, si è anche dato vita, con la Convenzione Europol, a un organismo comune, le cui potenzialità sono tali da creare in prospettiva preziose sinergie tra le forze di polizia dei singoli paesi membri dell'Unione.
Forme più complesse e sofisticate di cooperazione, che richiedono anche apporti diversi da quelli delle forze di polizia, si impongono e si vanno affinando per contrastare il riciclaggio del denaro sporco, in un contesto che sollecita anche nuove regolamentazioni in sede comunitaria delle transazioni finanziarie e bancarie. Si deve in sostanza portare avanti con grande determinazione, in tutte le direzioni, l'impegno già avviato per rispondere sempre meglio a serie e pressanti esigenze di revisione e di adeguamento, e insieme di riflessione, su delicati nodi problematici, cui le forze di sinistra non possono che essere, più di altre, sensibili.
Di queste esigenze ha dato una formulazione particolarmente netta il Ministro Guigou nell'intervento che ho già ricordato: "La criminalità organizzata rende obsoleta la maggior parte degli strumenti e dei quadri giuridici penali nazionali (...); i costi di funzionamento dell'insieme degli apparati repressivi aumentano considerevolmente in persone, in tempi, in mezzi e in procedure; i princìpi dello Stato di diritto, fondati su basi democratiche e sul rispetto delle libertà individuali dei cittadini, sono messi fortemente alla prova" dalle nuove esigenze della lotta contro la criminalità organizzata. La prova va coraggiosamente affrontata ricercando di volta in volta il giusto punto di equilibrio: così da rendere più sicure le nostre società senza che diventino meno libere e che si chiudano in sé stesse. La sinistra chiamata a governare oggi in Europa ha innanzitutto mostrato di essersi lasciata alle spalle un bagaglio di posizioni ideologiche e di condizionamenti psicologici che ne potesse rendere incerto l'impegno sui temi dell'ordine e della sicurezza pubblica.
Nella più elaborata presentazione pre-elettorale (1996) delle idee e della piattaforma del New Labour, si trova una denuncia dell'abisso che nel passato si era scavato tra posizioni giustificazioniste, o almeno comprensive e "morbide" (propense a considerare il crimine come "sintomo dei mali della società"), tradizionalmente presenti nella sinistra, e opinioni diffuse nella stessa base laburista. Perciò, si aggiunge, è stata accolta con sollievo la semplice dichiarazione di Tony Blair che "il Partito laburista intende essere duro sul crimine e duro sulle cause del crimine", "chiaro nel dire dove si colloca rispetto a quel che è giusto e quel che è sbagliato": il che permette di essere poi ascoltati quando "si spieghi la complessità di queste questioni" e ci si confronti col "banale populismo legge e ordine della destra". Non regge più una schematica contrapposizione, occorre saper proporre una convincente distinzione e combinazione tra prevenzione e repressione del crimine.
Nel rapporto con i cittadini che chiedono sicurezza la sinistra non può apparire incerta nel far rispettare regole, vincoli, limiti come parte di un'autentica cultura dei diritti e delle libertà: solo così si contrastano efficacemente filosofie riduttive di legge e ordine che ignorano conquiste e garanzie di carattere liberale e democratico. E questo più maturo approccio politico e di governo deve proiettarsi, si sta proiettando su tutto l'arco dei fenomeni e dei problemi propri della fase storica attuale. Problemi, come si è detto, di crescita in forme e dimensioni nuove della minaccia costituita dal crimine organizzato. Fenomeni complessi da padroneggiare evitando sia perdite di sicurezza per la convivenza civile sia rischi di regressione sul piano delle scelte di apertura e delle conquiste di libertà maturate via via in Italia e nell'Europa democratica. Tra questi fenomeni merita il massimo rilievo quello dei flussi migratori, dei movimenti di popolazione, delle richieste di lavoro, di benessere, di protezione umanitaria che si dirigono verso l'Europa più ricca e progredita. I governi di centro-sinistra e di sinistra si stanno variamente confrontando con queste tematiche, e stanno sempre di più comprendendo la necessità di procedere verso politiche comuni.
Dalla valorizzazione del "terzo pilastro" (affari interni e di giustizia) del Trattato di Maastricht alla prefigurazione di "uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia" nel Trattato di Amsterdam, dal protocollo sull'integrazione dell'"acquis di Schengen" nell'ambito dell'Unione europea alla fissazione di un termine di cinque anni entro il quale definire misure comuni per l'immigrazione e per l'asilo, i passi avanti che si sono compiuti risultano rilevanti. Bisogna ancora accelerare i tempi e colmare i vuoti di questo percorso di approfondimento dell'integrazione; e contemporaneamente attrarre a un serio impegno sull'insie-me di questi temi i paesi dell'Europa centrale e orientale candidati all'ingresso nell'Unione, come si è fatto di recente vincolandoli a un "patto di preaccesso" per la lotta alla criminalità organizzata.
Un banco di prova tra i più significativi dell'impegno di ricerca dell'equilibrio più avanzato tra garanzie di sicurezza e conquiste di libertà è costituito dalla gestione degli accordi di Schengen. La libera circolazione delle persone, l'abolizione dei controlli alle frontiere interne (tra tredici dei quindici paesi dell'Unione: continua a restarne fuori l'Inghilterra, nonostante l'interesse manifestato per il funzionamento del sistema di Schengen durante il semestre di presidenza dell'Unione) rappresentano la realizzazione di un grande ideale europeistico; ma si tratta di una conquista accompagnata e presidiata da seri vincoli e dispositivi di sicurezza. Il "Sistema informatico Schengen" è uno strumento assai valido di contrasto del crimine organizzato; la cooperazione di polizia per il controllo delle frontiere esterne comuni si sviluppa anche attraverso tecnologie avanzate con l'obiettivo di contenere l'immigrazione clandestina, di contrastare le infiltrazioni criminali, di combattere lo sfruttamento criminale dei flussi migratori, sollecitando anche, in vario modo, la collaborazione dei paesi di provenienza.
A queste condizioni si può bloccare la tentazione e il rischio di una messa in mora della grande scelta della libera circolazione delle persone, di una serie di violazioni di garanzie e diritti individuali, di un velleitario arroccamento dell'Europa nel rifiuto di qualsiasi, ben regolato afflusso di immigrati dal Sud e dall'Est. In definitiva, su questo insieme di problemi, riconducibili ma non riducibili a problemi di ordine e sicurezza interna, la sinistra europea è chiamata a rispondere del suo sistema di valori e della sua capacità di governo, e in egual misura del suo europeismo, della sua determinazione nel perseguire politiche sempre più necessariamente comunitarie, oltre i condizionamenti storici e le presunzioni nazionali."


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