Prefazione del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al libro "L'Unione Europea. Una storia non ufficiale"
Non è solo una storia "non autorizzata" dell'integrazione europea. E' una storia non tradizionale, non convenzionale, libera da schemi e a tutto campo, quella che il libro di Riccardo Perissich ci offre. Esso infatti non si limita a ricostruire, scandendone le tappe, il percorso della costruzione di cui nel 1950, con la Dichiarazione Schuman, si gettarono le basi: dalla Comunità dei sei paesi fondatori alla Unione dei 27 qual è oggi. Quelle vicende sono, s'intende, puntualmente richiamate, fin nei particolari, da Perissich: ma, più che in chiave cronologica, il discorso si snoda per grandi temi e per molteplici angoli visuali.
Vengono così passate in rassegna innanzitutto le istituzioni in cui si incarnò l' "invenzione comunitaria": a cominciare dal Consiglio e dalla Commissione. E segue poi un'argomentata valorizzazione, controcorrente, del Parlamento europeo, che ho personalmente molto apprezzato. Della Commissione viene in particolare tracciato un profilo assai concreto e vivo. Perché quella scritta da Perissich è una storia "dall'interno" della Comunità e dell'Unione, e soprattutto "dall'interno" della Commissione, in seno alla quale egli ha operato in diverse posizioni di responsabilità per venticinque lunghi ininterrotti anni. Anche nell'affrontare il tema del ruolo della Commissione, dell'esercizio reale, nel tempo di quel ruolo, e del rapporto difficile e cruciale con il Consiglio, l'autore dà prova del suo spirito critico, senza far sconti nemmeno all'istituzione che gli è più cara e che pur difende da luoghi comuni e mistificazioni.
E' un aspetto peculiare di questa "Storia", che va sottolineato : lo sguardo sempre disincantato, non indulgente verso alcun "idolo", l'approccio instancabilmente problematico, dall'inizio alla fine. Quando il discorso poi si sposta sui grandi protagonisti del processo d'integrazione e sui principali progetti in cui esso si è articolato, si evita ugualmente ogni appiattimento acritico, e comunque il giudizio può farsi netto ma non perentorio, restando in varia misura sospeso, aperto.
Ma si può allora ben scrivere di questi cinquanta, anzi quasi sessanta anni, da europeista convinto e tenace senza esser tacciato di cieca ortodossia e di chiusura in ostentate sicurezze! Il convincimento europeistico di Perissich, che nasce federalista e resta "un allievo, anche se un po' eretico, di Altiero Spinelli", si fonda in primo luogo sull'adesione profonda e persistente alla visione originaria, "quella della progressiva unità europea", concepita in antitesi al nazionalismo - da cui l'Europa era stata due volte lacerata e mortalmente colpita - e in funzione di un grande obbiettivo politico di pace, nella libertà e nella democrazia, nel cuore di un continente già alla fine degli anni '40 diviso in due blocchi. E Perissich ribadisce con forza il messaggio "valido soprattutto per coloro che si propongono giustamente di affrontare con realismo le difficoltà dell'integrazione di oggi, ma rischiano di dimenticare che la ricerca dell'Europa possibile può sempre ridursi a poca cosa se perde di vista la visione complessiva". La visione delle origini, la visione della progressiva unità e integrazione europea.
Il sempre saldo convincimento europeistico di Perissich si fonda in secondo luogo sulla valutazione obbiettiva degli straordinari risultati conseguiti nei decenni dalla Comunità e dall'Unione. Valutazione obbiettiva, non idilliaca, perfino impietosa nel rilevare contraddizioni e carenze. Egli mostra, mi pare, la sua particolare compenetrazione con i progetti del decennio di Jacques Delors alla guida della Commissione : innanzitutto quello del completamento del mercato comune. Grandi progetti, di cui non è facile ora immaginare quale nuovo progetto potrebbe ripetere l'effetto unificante e di rilancio del processo di integrazione. E grandi realizzazioni, fino alla creazione dell'Euro e della Banca Centrale europea.
Forte rilievo assumono nel libro nodi problematici e passaggi storici di cui sarebbe utile che si impadronissero meglio alcuni che di fronte alla recente crisi dell'Unione - non ancora risolta fino in fondo - presentano come nuove delle questioni, e delle possibili soluzioni, attraverso cui si è già passati da tempo. Si prenda la questione delle difficoltà che si oppongono alla più decisa estensione dell'area delle decisioni a maggioranza in seno al Consiglio. Evocare, come si è fatto nel corso delle discussioni sul nuovo Trattato, il compromesso del Lussemburgo o quello di Ioannina è a dir poco sconcertante. Perissich ricorda come ci si fosse confrontati, già nel lontano 1966, con la rivendicazione francese del diritto a bloccare una decisione europea in nome di un "vitale" interesse nazionale, e come col compromesso del Lussemburgo si fosse teso a chiudere - erano ancora gli anni di De Gaulle - quella crisi (la fase, cioè, della "sedia vuota"); ma ricorda soprattutto come nel 1982 si fosse superato quel vecchio tabù, in polemica con l'Inghilterra della signora Thatcher, negando che la definizione dell' "interesse vitale" potesse essere lasciata al paese che lo invocava, se esso non fosse riconosciuto come tale dalla maggioranza degli Stati membri.
Non c'è davvero nulla di nuovo nel legittimare, come in certi commenti si tende ora a fare, resistenze all'autorità di decisione - a maggioranza - delle istituzioni comuni, e posizioni di statica difesa degli interessi e delle sovranità nazionali. In effetti, il nodo fondamentale mai sciolto, e fattosi ormai ineludibile, è - come si dice chiaramente in questo libro - quello della convivenza e sovrapposizione, in seno all'Unione (ancor più, oggi, in seno all'Unione a 27), di visioni contrastanti del progetto europeo. Si è più volte, nel passato, dovuto fare i conti con derive intergovernative - espressioni proprio di quel nodo e contrasto di fondo. Perissich è esplicito e fermo nell'indicare i rischi, per l'Europa, di un'insistente concezione intergovernativa dell'Unione, e pur prevedendo, per l'immediato futuro, una inevitabile "deriva" in quel senso, non manca di segnalarne le implicazioni e i pericoli e di sollecitare uno sforzo volto a contenerla.
Attenzione, ci dice l'autore : "quello che manca non è tanto la volontà di accordarsi sugli obbiettivi, quanto la disponibilità a consentire le deleghe di sovranità indispensabili per tradurre in pratica le decisioni prese". Hic Rhodus, hic salta. E allora dove andare, come e con chi? - si chiede conclusivamente Perissich.
Le possibili risposte a queste domande passano anche attraverso l'esame delle posizioni storiche e attuali dei maggiori paesi europei, in un più ampio orizzonte mondiale (perciò ho visto in questo libro una "storia a tutto campo") ; va segnalato il capitolo sul rapporto Stati Uniti-Europa, per il suo respiro storico e per l'inedita ricostruzione della trama delle relazioni commerciali e delle tensioni competitive tra l'Unione e l'altra sponda dell'Atlantico.
Sui principali "soci anziani" dell'Unione, i giudizi sono tutti non semplicemente in bianco e nero. Ma quello sulla Gran Bretagna è scevro di illusioni. Quello sulla Germania è il più decisamente positivo, anche se tradisce qualche preoccupazione per l'oggi : l'omaggio a Kohl è senza riserve, per le scelte dell'unificazione e del Trattato di Maastricht - "una vera cerniera fra il passato e il futuro dell'integrazione europea" (ma non si può sottovalutare l'apporto di François Mitterrand). L'analisi che viene data del percorso e delle fondamentali, vecchie e nuove motivazioni e contraddizioni dell'impegno europeo della Francia, è penetrante e ben bilanciata, nella riaffermazione dell'indispensabilità del contributo di quel paese a ogni auspicabile sviluppo del processo di integrazione. Sull'Italia, infine, Perissich non è indulgente, è acuto e pungente, forse fin troppo, ma rende omaggio a non pochi nostri protagonisti della "avventura europea", da ultimo, con alte e ben motivate parole, a Carlo Azeglio Ciampi.
"L'europeismo italiano ha retto bene", l'autore infine sottolinea. E' essenziale - mi permetto di aggiungere - che continui a reggere bene, nell'assai complesso e arduo contesto di oggi e di domani. Perissich si prova infatti a indicare le possibili strade da battere - e non le anticiperò per il lettore - ma lasciandone intendere, ancora una volta e più che mai, tutta la problematicità.
La consapevolezza della realtà ormai imponente della costruzione europea, la convinzione che essa abbia messo radici profonde, in un'area via via più vasta, non impediscono a Riccardo Perissich di mettere in guardia contro troppo semplici certezze : "Nulla sarà veramente irreversibile finché non verrà data all'integrazione anche una dimensione politica". Nessun catastrofismo. Ma su quale sia in ultima istanza la posta in giuoco per l'Europa, non ci si può ingannare : "essere" - o rinunciare ad essere - "soggetto e non solo oggetto della storia".
Novembre 2007